Grazie alla straordinaria lezione pittorica del Maestro dei maestri, l’insuperabile Tiziano Vecellio, che proprio tra le fiere cime dolomitiche ebbe i natali, una longeva e fertile dinastia di fratelli, cugini, nipoti e figli, formatisi nella bottega dell’indiscusso padre del colore rinascimentale, mosse i primi passi nel mondo dell’arte, a partire dall’ambiente cadorino, per poi divulgarne modi, espressioni e caratteristiche, ciascuno secondo le proprie capacità e personali peculiarità .
Attraverso questa mia proposta di un breve ma intenso “grand-tour” espositivo, desidero condurre i miei affezionati lettori, alla scoperta delle opere più pregevoli dei parenti del Tiziano in terra cadorina, che hanno giù, di recente, estasiato e deliziato la mia vista, partendo dalla pittoresca Pieve di Cadore, centro geografico e storico della Valboite, nonchè patria dell’illustre Capostipite, per terminare nella verde e rigogliosa San Vito di Cadore.
La parrocchiale settecentesca di Santa Maria Nascente, ubicata nel centro pievese, già chiesa madre e arcidiaconale di tutto il Cadore, oltre ad offrire un’opera magistrale del Divin Pittore, ovvero la piccola Pala dedicata a San Tiziano, conserva alcuni esemplari, degni di menzione speciale, di Francesco, Cesare e probabilmente Orazio Vecellio. Francesco Vecellio, fratello maggiore di Tiziano, è considerato dalla critica pittore di buona inventiva e di valida preparazione, inevitabilmente offuscata dalla gloria del geniale parente. A lui appartiene la suggestiva pala d’altare collocata sulla parete sinistra del presbiterio, assegnata, fino a poco tempo fa, all’impareggiabile Tiziano. Databile attorno al secondo decennio del XVI secolo, l’opera rappresenta con particolare vividezza i “Santi della peste”, Rocco e Sebastiano, assieme alla Madonna con il Bambino.
Ad Orazio Vecellio, figlio secondogenito e prediletto di Tiziano insieme all’amatissima Lavinia, nonchè suo allievo e collaboratore, la tradizione storiografica più rigorosa attribuisce la pala della “Madonna del Rosario”, oggi situata sul primo altare laterale sinistro della navata, sempre all’interno della parrocchiale di Pieve. L’immagine presenta l’apparizione della Vergine con il Bambino, nell’atto di donare la corona del Rosario a San Domenico, cui si deve l’istituzione del rosario stesso e, a Santa Caterina. Discreta la mano esecutiva e lodevole l’intento di perseguire l’eccellenza paterna. Dietro l’altare maggiore si notano quattro grandi tele, raffiguranti, nell’ordine, San Pietro, l’Angelo Annunciante, la Madonna Annunciata e San Paolo. Si tratta delle portelle del vecchio organo, dipinte con grazia e sensibilità coloristica da Cesare Vecellio, forse alla fine dell’ottavo decennio del Cinquecento.
La figura significativa di Cesare Vecellio, secondo cugino del Tiziano, talentuoso pittore ed abile artigiano, assunse rilievo solo dopo la morte dell’insigne Maestro, avvenuta nel 1576. Da questo momento, egli dominerà il panorama artistico bellunese con un numero cospicuo di dipinti, concentrati soprattutto nel capoluogo, dove era spesso ospite della nobile famiglia dei Piloni e, naturalmente in Cadore. Proprio a Cesare appartiene “L’Ultima cena”, realizzata nel 1585 ed attualmente collocata dietro l’altare maggiore, sopra le portelle d’organo. Il sacro convivio si svolge in un ambiente caratterizzato da un’architettura scenografica e monumentale: la luce, davvero ben dosata, che irradia con centralità dalla figura del Cristo, colpisce i volti degli apostoli, radunati attorno alla mensa.
Accanto alla parrocchiale è situato il sontuoso palazzo della Magnifica Comunità, antico Ente autarchico del governo cadorino, dove si può ammirare la tela raffigurante la “Dedizione del Cadore a Venezia”, donata da Cesare nel 1599 e, senza dubbio, l’apoteosi del magistero del cugino tizianesco: il capolavoro accompagna quale immagine introduttiva il suddetto articolo. Opera patinata e lucente, si tratta della narrazione celebrativa dell’evento storico, che portò il territorio cadorino sotto le ali della Serenissima Repubblica, nel 1420. La cerimonia si svolge nel cortile interno del Palazzo ed, è colta nel momento in cui, la personificazione allegorica del Cadore presenta lo scudo con l’emblema di questa regione a Madonna-Venezia. Sulla sinistra, con espressioni di una bellezza pacata, la Vergine con il Bambino e San Marco assistono alla scena in qualità di superiori testimoni e garanti.
Nello stesso ampio ed arioso salone del palazzo è visibile un’altra opera vecelliana, attribuita a Marco, lontano cugino, discepolo ed infine collaboratore del Tiziano. Databile verso la fine del XVI secolo, l’opera rappresenta l’apparizione della Madonna con il Bambino e, quella di San Marco, alla cui protezione si era votato l’intero Cadore. A destra si profilano le figure allegoriche della Fede, con il calice in mano e, della Fortezza, appoggiata alla colonna: un tratto compositivo ed esecutivo piuttosto evanescente e fragile fanno di Marco un interprete ancora immaturo dei dettami tizianeschi.
Terminata la visita emozionante alla “Magnifica”, ci si dirige verso Tai di Cadore, per tuffarci nelle opere della chiesa parrocchiale di San Candido. Situata in posizione dominante sull’abitato, nel centro storico antico, conserva al suo interno tre mirabili tele di Cesare. Sull’altare maggiore trionfa l’immagine della “Madonna con il Bambino”, accompagnata dai Santi patroni Candido ed Osvaldo, mentre sugli altari laterali sono collocate, rispettivamente, le effigi di “Sant’Apollonia” e di “San Maurizio”. La data 1582 con la sigla C.V.P. (Caesar Vecelli Pinxit), situata ai piedi di Sant’Apollonia, fa pensare che le tre opere facessero parte di un progetto unitario di decorazione dell’edificio.
A circa un chilometro da Tai s’incrocia la stradina che sale alla frazione amena di Nebbiù. Ai margini dell’abitato sorge la chiesa di San Bartolomeo Apostolo. Marco Vecellio è l’autore della pala sacra, che compare nel primo altare laterale destro del luogo di culto. Esaltata dagli intagli dorati dell’alzata lignea, quest’opera presenta l’apparizione della Madonna con il Bambino ai tre Santi: sulla sinistra è riconoscibile Santa Lucia, protettrice della vista; al centro Sant’Antonio Abate, invocato contro le malattie infettive, mentre la terza Santa con un vaso di profumi dovrebbe rappresentare Santa Maria Maddalena, che cinse con i suoi capelli ed essenze odorose i piedi del Cristo.
Da Nebbiù si riprende la statale e ci si dirige verso la frazione di Venàs. La chiesa parrocchiale ottocentesca di San Marco Evangelista, situata lungo la strada principale, conserva, nell’abside, un trittico di Francesco Vecellio di notevole impatto estetico. Nei singoli scomparti sono raffigurati la Madonna con il Bambino, San Marco, San Lucano e Sant’Albano: estrema cura rappresentativa, unita a ltimbro cromatico d’effetto, rendono il complesso artistico un’opera di nobile fattura.
San Vito di Cadore è la tappa conclusiva di un itinerario fascinoso, che ci cattura, in un crescendo di sensazioni e di scoperte altisonanti. La locale chiesa settecentesca dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia, recentemente restaurata, custodisce sull’altare maggiore la pala siglata da Francesco Vecellio, nel 1524. I personaggi dovrebbero essere Sant’Ermagora, vescovo di Aquileia e leggendario evangelizzatore del Cadore, San Vito, giovane martire cristiano titolare della chiesa ed eponimo del paese, San Giovanni Battista e, forse (in fase ancora di analisi e di studio) San Gottardo. La figura orante in primo piano, a sinistra, ritrae il pievano Bernardo Costantini, committente dell’opera per conto della comunità. Nel primo altare laterale destro è conservato un dipinto egregio attribuito a Cesare, databile al nono decennio del secolo. Rappresenta il vescovo Sant’Ermagora, assieme al suo discepolo San Fortunato.
Accanto alla parrocchiale sorge l’incantevole chiesetta quattrocentesca dedicata alla Beata Vergine. L’abside dell’edificio accoglie l’ultima opera, in cui poggeremo i nostri occhi, per ora virtuali, ma, ben presto, confido per la vostra educazione al Bello anche dal vivo. Si tratta della deliziosa e leggiadra Madonna in trono, con il Bambino benedicente nel grembo, la quale è fiancheggiata dalle imponenti figure di Sant’Ermagora e di Sant’Antonio Abate. L’insieme figurativo di particolare suggestione è messo in risalto dagli affreschi cinquecenteschi, che ricoprono le pareti stesse dell’abside.
Ecco, qui il nostro viaggio cadorino tra gli splendori e le meraviglie della Dinasty Vecelliana si conclude, almeno in termini internettiani: mi auguro, di vero cuore, di aver in qualche modo stuzzicato e solleticato la curiosità di neofiti ed appassionati e, sopra ogni cosa, di aver alimentato il desiderio di godere, in prima persona, della magnificenza unica di queste opere. Giacchè, miei cari “naviganti” del vascello virtuale, l’Arte va respirata e vissuta, sempre, “a tu per tu”!! A presto! Felice tour vecelliano! Vostra Elena P.
Ciao Elena molto esauriente e interessante l’articolo……Ma che MERAVIGLIA il quadro che hai scelto per presentarlo e tu sai bene che certe affermazioni non le dico a caso,mi conosci, diciamo abbastanza bene( non si conosce mai fino in fondo una persona, a mio parere)e sai che quando una cosa mi piace è perchè mi ha trasmesso emozioni……. BRAVA, continua così, alla prossima, anzi al tuo prossimo articolo by Dany