Francia, inizi Ottocento, i predatori per eccellenza del nostro patrimonio artistico, ovvero i nostri cugini d’Oltralpe, i sudditi di Sua Maestà, l’Empereur Napolèon, colpiscono ancora. E lo fanno, alzando il tiro sul maggior Emblema culturale e scientifico che l’Italia abbia donato al mondo, ovvero Messer Leonardo da Vinci. Ma come avvenne che il borioso Napoleone ardì di compiere un furto siffatto? Ebbene, miei appassionati lettori, prestate attenzione ai fatti curiosi ed inediti, in cui ci addentremo fra poco e, scoprirete che si poteva beffare e schernire anche l’arrogante avidità del “piccolo” Corso, affammato d’ambizione e di potere.
Rifacciamo, quindi, un passo indietro e torniamo all’ambientazione storica iniziale. Parigi, torrida estate 1815. Le accoglienti e luminose sale della Biblioteca Nazionale Francese fanno bella mostra di sè, come sempre, con le loro interminabili scansie di splendide vetrine, che hanno accolto famose biblioteche di monarchi e cardinali, negli ultimi tre secoli, dal Quattrocento a fine Settecento. Tutto catalogato da altrettanto celebri bibliografi e tutto disposto in perfetto ordine, ma solo dal livello dell’occhio in su.
In basso, dal pavimento al piano dei vasti banchi che si susseguono di sala in sala, regna la confusione più totale: oggetti d’arte di ogni genere, sculture, dipinti, volumi di stampe e disegni e, soprattutto libri antichi, codici d’ogni epoca e paese, sontuosamente rilegati e miniati, oppure dall’aspetto più sobrio ma d’incalcolabile valore storico e scientifico, tutti accatastati alla rinfusa fra una scultura e l’altra, oppure a ridosso di pregevoli dipinti. Ebbene, eccolo dinnanzi a voi il bottino di guerra in terra italica e, non solo, di Napoleone, che uno stuolo di commissari, inviati dalle varie nazioni saccheggiate, si dispongono ad ispezionare, per provvedere alla loro restituzione, in base all’accordo internazionale, appena stipulato a Vienna.
Per l’Italia, indubbiamente la più colpita dall’avidità napoleonica, l’arduo compito della ricognizione è affidato al Canova, inviato dal pontefice e, al professor Benvenuti, rappresentante del Granduca di Toscana; mentre il regno Lombardo-Veneto, quello che ha subito le spogliazioni più gravi e sistematiche, soprattutto a Milano, è rappresentato dal barone Ottenfels, un funzionario del governo austriaco. A questo personaggio era stata riconosciuta la discutibile fama di essere riuscito a recuperare almeno uno dei tredici manoscritti di Leonardo, razziati da mano francese alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, cioè quello di maggior mole, il preziosissimo Codice Atlantico.
E tutto ciò potè avvenire, perchè quel gran codice, separato dagli altri manoscritti solo in un secondo tempo, era stato assegnato al centro di smistamento presso la Biblioteca Nazionale Francese. Mentre gli altri codici, più che altro quaderni e taccuini, erano rimasti presso la biblioteca dell’Istituto di Francia, dove erano stati portati, direttamente da Milano, nel 1795 e, dove potè esaminarli il fisico e diplomatico reggiano Giambattista Venturi, che li rese subito celebri con una serie di estratti, in un saggio comunicato all’Istituto Nazionale delle Scienze e delle Arti di Parigi, cioè lo stesso Institut de France che lo pubblicava nel 1797.
Purtroppo il barone di Ottenfels non conobbe il saggio del Venturi, dal quale avrebbe appreso come tutti quei manoscritti fossero stati depositati presso l’Institut de France, mentre solo il Codice Atlantico sarebbe stato poi trasferito alla Biblioteca Nazionale. Ma questo non è tutto , miei perspicaci lettori. Perfino l’attenuante dell’ignoranza dei fatti, che sembrava mitigare la sua colpa, di non essersi adoperato a recuperali tutti, quei manoscritti, viene ora a cadere con un episodio che è passato inosservato, benchè riferito fin dal 1869 da Gerolamo Luigi Calvi, avo del grande leonardista Gerolamo. “Abbiamo riottenuto anche questo, per caso- affermava lo studioso ottocentesco riferendosi al Codice Atlantico, da poco tempo ritornato all’Ambrosiana- e lo dobbiamo all’infallibile Canova e al professor Benvenuti”.
Precisate le funzioni dei protagonisti come rappresentanti rispettivamente del papa e del Granduca di Toscana, ecco dunque l’episodio eclatante che gli storici non hanno ancora, del tutto, recepito, descritto dalle parole del Calvi. “Passeggiavano così insieme, dove si stava separando gli oggetti da consegnarsi ai diversi commissari quando, vedendo questo grosso volume fra quelli che dovevano rimanere, venne loro la curiosità di darvi un’occhiata e, trovativi alcuni disegni e la scrittura a destra a sinistra, che il commissario mandato dall’Austria a ricevere le cose del Lombardo Veneto, credeva cinese, riconobbero appartenere a Leonardo e, presolo con le proprie mani lo posero fra le cose, che dovevano, per la ragione dell’armi, tornare dove, per la ragione dell’armi, ne erano state tolte”.
E così, quel grosso volume creduto cinese, ritornato alla sua residenza milanese, s’imponeva subito come cimelio solitario e, nel giro di poco più di un secolo, sarebbe diventato il Codice leonardesco, per eccellenza, famoso in ogni angolo del mondo. E’ questa, senza dubbio, la raccolta più ampia di fogli vinciani che si conosca. Nel formato atlantico dal quale trae il nome, l’enorme volume poteva infatti apparire come un vero e propiro codice, cioè un libro già predisposto dall’autore, per essere riempito di note e disegni esplicativi delle sue idee scientifiche rivoluzionarie. In realtà, con maggior precisione, si tratta di una raccolta miscellanea di 1750 unità, tra fogli e frammenti riuniti in un unico volume dallo scultore Pompeo Leoni, che nel tardo Cinquecento, aveva fatto incetta a Milano di un’imponente massa di materiale vinciano.
Trasferitosi a Madrid nel 1590, il Leoni operò con forbici e colla nel montaggio, su pagine di grande formato, di fogli sciolti o estratti dai vari quaderni di Leonardo, avendo a cuore più la raccolta di curiosità e la spettacolarità del risultato finale, che l’ordine tematico e cronologico. Su un’unica pagina del suo libro, il Leoni riuscì a montare fino a dieci frammenti di carte leonardiane e, quando queste recavano disegni o scrittura sul verso, apriva nella pagina bianca di supporto una “finestra” sulla quale posava il foglio di Leonardo, in modo da mostrarne entrambi i lati.
E’ ovvio che questa sistemazione, spettacolare ed arbitraria ad un tempo, doveva causare non poche perplessità negli studiosi. Di qui la decisione di sottoporre il grosso volume allo stesso tipo di restauro, già applicato a quello dei disegni e degli studi anatomici, di proprietà della Regina Elisabetta II e oggi conservati nel castello di Windsor ed, eseguito dallo stesso Pompeo Leoni. Solo che, contrariamente a quanto effettuato a Windsor, i fogli staccati dal loro supporto originale sono stati rimontati, nello stesso ordine sulle pagine bianche di dodici grandi volumi. Quando invece sarebbe stato preferibile lasciarli sciolti per facilitarne lo studio e, quindi la ricostruzione di quelli, che spesso furono tagliati in due o più parti e, come tali collocati anche a grande distanza l’uno dall’altro. Una sistemazione a fogli sciolti ne avrebbe assicurato una migliore conservazione e una più agevole consultazione.
Malgrado le avventure rocambolesche che lo hanno visto protagonista, in quali vesti il Codice Atlantico è reso oggigiorno accessibile ai più? Alla riproduzione in facsimile di quei volumi, realizzata nel 1970 dall’editore Giunti di Firenze nel programma dell’edizione nazionale vinciana, si sono aggiunti attualmente dodici volumi di trascrizioni ed apparati critici a cura di Augusto Marinoni, che ha affrontato i molteplici aspetti d’interpretazione dei testi e disegni di Leonardo, compresi i calcoli e le esercitazioni matematiche e, quindi, le trattazioni di fisica e meccanica. In queste edizioni i testi sono presentati con l’assoluta fedeltà della trascrizione cosiddetta diplomatica, effettuata mediante segni tipografici speciali ed affiancata a quella critica, che rende la lingua di Leonardo agevole per tutti, pur conservandone, scrupolosamente, il carattere e lo stile e, perfino le inflessioni fonetiche.
Riservata alle grandi biblioteche ed istituti di ricerca in tutto il mondo, nonchè a pochi privilegiati bibliofili, la grandiosa edizione in facsimile viene ora riproposta dallo stesso editore in forma “economica”, con riproduzioni in bianco e nero e, con la trascrizione critica dei testi. Tutto ciò che si trova in dodici volumi di facsimili e in altrettanti di trascrizioni è ora condensato in tre: uno strumento d’indiscutibile utilità per lo studioso, che può finalmente effettuare, con rapidità quasi elettronica, controlli e riscontri immediati, riservandosi l’eventuale ricorso al facsimile, solo nella fase conclusiva di una laboriosa e complessa ricerca. Uno strumento, inoltre, col quale il ricco e vario materiale vinciano si offre in un quadro complessivo di puntuale valutazione anche a chi lo affrontasse per la prima volta o, a chi, curioso e sensibile al fascino delle antiche scritture, volesse ricercarvi motivi d’ispirazione, a stimolo e sussidio della propria creatività e fantasia.
Ma, nel dettaglio, che tipologia di materiale culturale caratterizza il Codice Atlantico? Il materiale abbraccia l’intera carriera di Leonardo, per un periodo di oltre quarant’anni, dal 1478 quando aveva ventisei anni fino alla morte, avvenuta in Francia nel 1519. Vi si trova la più esauriente documentazione dei suoi contributi alla scienza meccanica e matematica, all’astronomia, alla geografia fisica, alla botanica, alla chimica e all’anatomia: non vi era ambito dello scibile umano in cui la mente di Leonardo non producesse prodigi d’intuizioni e di teorie. Disegni di strumenti da guerra, macchine per volare o per scendere nel fondo dei mari, dispositivi meccanici, macchine utensili e persino gli antenati dei cosiddetti “automi”.
E poi i progetti architettonici ed urbanistici, che Leonardo non potè portare a termine: dai primi studi articolati per il rinnovamento urbanistico di Milano ai tardi progetti per la spettacolare sistemazione della Villa Melzi a Vaprio d’Adda e, per un nuovo Palazzo Medici a Firenze, fino all’ideazione di una residenza reale a Romorantin, in Francia, che prefigura la reggia di Versailles. Ma vi si trova, dato assai orginale, anche la registrazione scritta dei suoi pensieri attraverso favole, apologhi, riflessioni filosofiche e memorie personali.
I singoli fogli, ricchi di annotazioni sugli aspetti teorici e pratici della pittura e della scultura, sull’ottica, la prospettiva, la teoria della luce e dell’ombra, fino ai materiali usati dall’artista, forniscono anche la prova della sconfinata abilità artistica di Leonardo, dagli studi grafici per la realizzazione figurativa de “L’Adorazione dei Magi”, per la bellissima “Leda e il cigno” (tela posta quale immagine introduttiva dell’articolo) e “La Battaglia di Anghiari”, ai progetti per i monumenti equestri a Francesco Sforza e a Gian Giacomo Trivulzio.
Gli stessi studi geometrici, specialmente quelli sulle trasformazioni delle supeRfici e dei solidi e, quindi dalle lunule alla stereometria, costituiscono immagini di straordinaria suggestione, che oggi nemmeno i più sofisticati prodotti della “computer graphic” riescono ad emulare. E lo stesso si può dire dei complessi ed accuratissimi diagrammi delle caustiche di riflessione, spesso di grande formato, che accompagnano calcoli altrettanto puntuali e meticolosi, con i quali il Da Vinci, negli ultimi anni della sua vita, condotta fra il Vaticano e la Francia, andava predisponendo un grandioso progetto per lo sfruttamento dell’energia solare a scopi industriali.
Avveniristico, anticipatore, innovatore, praticamente enciclopedico nelle sue conoscenze e competenze, Leonardo rimane, ancor oggi, il modello di Scienziato “ante litteram” più completo e geniale, che l’universo della cultura mondiale potesse accogliere. E i suoi disegni racchiudono una scintilla eterna di saggezza, che i nostri eredi ritroveranno intatta, anche di qui a mille anni. A presto, con nuovi fatti e misfatti, direttamente dalla galassia avventurosa della Storia dell’arte…BeppeBlog, con fiuto infallibile, indagherà per voi! Vostra Elena P.
Ciao, ho letto che Leonardo usava nascondere (sembra sia stato scoperto da poco da scienziati USA) dei messaggi segreti dietro i suoi dipinti o disegni, che si possono solo vedere se il disegno viene messo in controluce… è vero???
si per esempio in questo disegno:
http://img213.imageshack.us/my.php?image=ldvsecretmessageof3.jpg si vede una formula nascosta nella barba.