L’“Otello†(edizione economica Feltrinelli, 125 pagine, costo 5,00 €) di William Shakespeare è, per comune consenso ed opinione popolare, da sempre, la tragedia della gelosia e, il nome del protagonista è molto spesso usato per indicare un individuo ferocemente geloso. L’impressione immediata che si riceve dalla rappresentazione o dalla lettura del mirabile lavoro, conferma in buona parte questo giudizio popolare, che però, a ben guardare dentro i caratteri psicologici dei personaggi, non soddisfa, del tutto, quei critici moderni, che basano l’interpretazione della tragedia, su uno studio esclusivamente psicanalitico delle vari attori coinvolti.
Vi è, ad esempio tutta una scuola critica che, partendo dal presupposto di una perfetta corrispondenza di unità artistica e di unità psicologica nell’opera shakespeariana, arriva ad interpretarla, attraverso un’eccessiva sottigliezza di analisi, in modi nuovi e spesso contrastanti e, che, anche se suggestivi, non sono fedeli al pensiero e all’arte del poeta. Così l’Otello, questo magnifico studio di una delle passioni più viscerali della natura umana, che il pubblico trova schietto, semplice, facile ad intendersi, diventa nella critica di alcuni di questi novissimi esegeti, complicato, oscuro, ricco di problemi e di riposti significati. Vediamo se è possibile conciliare il giudizio del gran pubblico con le interpretazioni più complesse e profonde degli studiosi.
La trama della tragedia è, per sommi capi, a tutti nota. Un moro, soldato di ventura, che si è acquistato gloria al servizio della repubblica di Venezia, s’innamora, non più giovane, di una nobile fanciulla veneziana, Desdemona, ne conquista l’affetto e la sposa segretamente contro la volontà del padre di lei, il magnifico senatore Brabanzio. La sera stessa del matrimonio, il governo veneto ordina ad Otello di partire per andare a difendere l’isola di Cipro contro un minacciato attacco della flotta turca ed egli affida la moglie al suo aiutante Iago, con l’incarico di accompagnarla a Cipro, dove egli la ritrova quando ritorna vittorioso, dopo aver distrutto la flotta nemica. Iago, per vendicarsi a quanto egli afferma, di un torto fattogli da Otello e, per gelosia verso Cassio, che gli è stato preferito nell’avanzamento militare, trama un complotto per far credere al generale moro che sua moglie lo tradisca con il suo luogotenente.
Le fila dell’intrigo sono così ben congegnate che Otello casca ciecamente nella rete; l’improntitudine e l’abilità di Iago, l’inesperienza di Desdemona, una serie di circostanze fortuite, quale la perdita di un fazzoletto che a Desdemona era particolarmente caro come primo dono ricevuto dal suo signore, tutto contribuisce a far precipitare la tragedia, sì che poche ore dopo che Iago ha cominciato a “versare†nell’animo di Otello il veleno del sospetto, Desdemona è strangolata dal marito pazzo di gelosia e, Cassio è gravemente ferito. Solo per l’imprevista resistenza e ribellione di Emilia, la moglie di Iago, che denuncia il trucco del fazzoletto e difende il buon nome e la fedeltà della sua padrona barbaramente uccisa, l’inganno è scoperto e, Otello dopo aver tentato di uccidere il malvagio calunniatore, che nel frattempo ha ammazzato la moglie, si recide la gola e muore sul cadavere di Desdemona, vittima innocente della credulità e della feroce gelosia del marito e, della perfidia di Iago.
Lasciatemi dire che l’Otello è la tragedia meglio costruita tra i lavori di Shakespeare e, si differenzia dalle altre sotto due aspetti: anzitutto per la sua struttura solida ed organica in cui sono evitati quei continui cambiamenti di luogo e, quelle divagazioni che sono una comune caratteristica; qui la scena, se ne togli il primo atto che ha luogo a Venezia e, la cui materia avrebbe potuto essere raccontata da uno solo dei personaggi, si svolge sempre a Cipro e l’azione è condensata nel giro di poche ore, sì che si può affermare che in questo lavoro vengano rispettate pienamente le famose unità aristoteliche, di luogo, di tempo e di spazio. In secondo luogo la materia narrativa presentata in forma diversa.
Mentre nella altre tragedie troviamo accennato fin dalle prime scene quello che sarà il motivo della catastrofe: il fulmineo amore di Romeo e Giulietta appartenenti a famiglie nemiche; l’amore di Bruto per la libertà e l’invidia di Cassio; l’incertezza di Amleto; l’ambizione di Macbeth; la senile vanità e caparbietà di Lear; la passione amorosa di Antonio; l’orgoglio di Coriolano e, vediamo alla fine del secondo o al principio del terzo atto culminare l’azione che porta l’eroe alla piena manifestazione della sua natura o al compimento dei suoi voti: il matrimonio segreto di Romeo e Giulietta; l’uccisione di Cesare e il discorso di Bruto ai Romani; la suprema esitazione di Amleto ad uccidere il re, solo perché sta pregando; l’assassinio di Duncan e l’ascesad accorgerci che, come tutti i drammi bastia al trono di Macbeth; la crudeltà di Regan e Goneril verso il padre e la sua conseguente pazzia; la riconciliazione di Antonio con Ottavio e il suo matrimonio con Ottavia; l’elezione di Coriolano al Consolato.
E contemporaneamente notiamo l’iniziarsi di un’altra azione contraria che porterà l’eroe alla sua tragica fine: il bando di Romeo e il progettato matrimonio di Giulietta con Paride; l’allocuzione di Antonio che solleva il popolo contro i cospiratori; la trama di Claudio per liberarsi di Amleto; l’assassinio di Banquo e la fuga di Macduff; la gelosia tra le due sorelle Regan e Gonerile l’intervento di Cordelia; il ritorno di Antonio in Egitto dove ricade nei lacci amorosi di Cleopatra; l’orgogliosa risposta di Coriolano alle provocazioni dei Tribuni e il suo esilio da Roma; nell’Otello i primi due atti nulla ci dicono di quello che sarà il motivo della tragedia.
Solo nel terzo atto abbiamo la scena della tentazione di Otello e, da allora in poi l’azione si svolge rapida, serrata, incalzante, senza un momento di posa; la perfidia di Iago e la sua audacia nell’arrischiare tutto pur di ingannare il suo generale, il crescente furore del moro man mano che i convince di essere tradito, l’ingenuità e la mancanza di tatto di Desdemona e di Cassio, ignari della trama che si sta ordendo ai loro danni, l’inenarrabile sofferenza delle due principali vittime dell’infame macchinazione, tengono incatenata la nostra attenzione e, non abbiamo un momento di tempo per giudicare della logicità degli eventi, per analizzare lo stato d’animo dei protagonisti; soffriamo con essi e siamo trascinati anche noi dalla forza ineluttabile delle circostanze verso la tragica soluzione dell’ignobile inganno.
Nessuna tragedia di Shakespeare ci convince e ci suggestiona più di questa; ascoltandola, noi non notiamo alcuna incongruenza, niente che ci lasci perplessi o faccia nascere un dubbio sula perfetta coerenza dell’azione; tutto ci appare logico, chiaro, inevitabile; noi sentiamo che i personaggi sono dominati da una forza invincibile che è emanazione della loro stessa natura ed è più ineluttabile del Fato della tragedia greca. Il poeta ha pienamente raggiunto il suo scopo: è riuscito con la magia della sua arte, a darci la perfetta illusione della realtà , a farci soffrire, amare ed odiare con lui le creature della sua fantasia, che egli ha saputo rendere così intensamente umane, così vive ed indimenticabili.
Ma se noi rileggiamo la tragedia con pacata attenzione non tardiamo ad accorgerci che, come tutti i drammi basati sull’intrigo, essa è ricca di eventi fortuiti che sono, a dir poco, improbabili, che rivela numerose contraddizioni nella psicologia dei vari personaggi e, quel che è peggio, un’insanabile inconsistenza nella durata dell’azione. I critici moderni, da Coleridge in poi, che vedono in Shakespeare non solo il poeta inarrivabile, ma anche il supremo interprete della natura umana e, ammirano in lui quasi più lo psicologico che l’artista, risono sforzati e si sforzano tuttora di spiegare queste contraddizioni, di giustificare, o almeno attenuare le circostanze poco plausibili e, di risolvere in qualche modo il problema del tempo nella tragedia.
Abbiamo così oggi una ricchissima letteratura critica sull’Otello, che si propone di dimostrare come la tragedia possegga, dal punto di vista psicologico, la stessa perfetta coerenza che ha dal punto di vista artistico. I moderni esegeti partono dal presupposto che si possa stabilire un’uguaglienzanell’opera di Shakespeare tra arte e natura; che, in altri termini, le creature della fantasia del poeta abbiano una vita vera, reale, all’infuori dell’opera d’arte in cui sono state concepite. Secondo questi critici, tutti i personaggi di Shakespeare sono essere viventi, che suscitano in ognuno di noi reazioni diverse, come le persone in carne e d’ossa con le quali veniamo a contatto nel nostro piccolo mondo. E come non è possibile determinare i confini dell’anima umana, o tradurre in un’equazione precisa e ben definita le innumerevoli sensazioni ed emozioni di un individuo, così non è possibile dare un’interpretazione definitiva di un personaggio di Shakespeare che, come ogni persona viva, è ricco d’infinite possibilità , di cui solo ua piccola parte ci viene rivelata dall’azione del dramma.
Il segreto dell’eterna giovinezza di Shakespeare, della sua straordinaria modernità , affermano questi critici, sta nella perenne e sempre rinnovatesi vitalità dei suoi personaggi che non sono tipi, ma individui, anime che noi possiamo interpretare e ricostruire un po’ a nostra fantasia, proprio come amiamo ricostruire secondo i nostri gusti la personalità e la vita così poco nota del poeta. E’innegabile che una critica psicologica di tal genere è in gran parte soggettiva; tanto quelli che affermano, per esempio, che Otello è geloso, quanto quelli che lo negano, possono ugualmente aver ragione, secondo il loro punto di vista.
Ora pur ammettendo la massima libertà d’interpretazione di un’opera d’arte, è chiaro che non possiamo attribuire un valore serio ad una critica, la quale non abbia almeno quel tanto di oggettività , che consiste nel tenere conto delle circostanze essenziali che hanno concorso alla creazione di quest’opera d’arte: l’epoca storica in cui è vissuto l’autore, gl’intenti che egli si è proposti, le caratteristiche del suo genio e così via. Nel caso di Shakespeare noi abbiamo fondati motivi di ritenere che egli nel comporre le sue tragedie, non si proponeva dei problemi psicologici o sociali, come fanno molti drammaturghi contemporanei. Egli scriveva per il suo pubblico e rispettava le convenzioni teatrali della sua epoca.
Il suo punto di partenza era una situazione, non un carattere ed, egli non esitava a sacrificare la coerenza logica e l’integrità psicologica dei suoi personaggi, se ciò poteva giovare allo svolgimento e alla drammaticità dell’azione; proprio come Michelangelo non rifuggiva dall’usar violenza a qualche particolare anatomico, pur di ottenere un effetto d’insieme. L’errore di molti critici conciste nel voler trovare ad ogni costo una perfetta coerenza psicologica nei drammi shakespeariani e, nello sforzo che fanno per appianare i contrasti e spiegare le incongruenze, che esistono nell’opera sua, finiscono spesso col perdere di vista il vero Shakespeare,poeta del periodo elisabettiano e, col presentarci un drammaturgo contemporaneo che si preoccupa di analizzare certi stati d’animo o di discutere una determinata questione sociale.
In altre parole essi attribuiscono a lui, problemi, teorie, che egli non si è mai sognato di avere, che egli non si è mai posto e non poteva porsi e, che molte volte sono anacronistiche. Così per esempio, per limitarci alla tragedia in questione, l’Otello sarebbe, secondo lo Schlegel, lo studio di un nobile barbaro che si è fatto cristiano ed ha assimilato un po’della cultura del popolo al cui servizio ha posto il suo braccio, ma è rimasto, in fondo, immutato: ha conservato i pregiudizi e i sospetti dei popoli orientali sulla castità delle donne e, le selvagge passioni proprie della sua razza, che si è scatenano con inaudita ferocia appena la sua gelosia eccitata.
Shakespeare dunque si sarebbe proposto un problema di “kulturgeschichte-storia della cultura umanaâ€: quello di dimostrare che la civiltà può modificare solo superficialmente una natura barbara. Niente potrebbe essere, a parer mio, più antishakespeariano di questa interpretazione; basta pensare alla completa indifferenza del drammaturgo riguardo all’esattezza storica e al colore locale, per capire quanto sia inammissibile che egli si proponesse un tale problema; ma poi come si può affermare che Otello, almeno nei primi due atti della tragedia, sia o si comporti da barbaro, quando invece dà prova di tanta calma e padronanza di sé nel rispondere alle provocazioni di Brabanzio e, riesce con le sue parole ad imporsi all’ammirazione del Senato, sì che il doge finisce con l’esclamare: “se la virtù non è senza fascino di bellezza, quest’uomo è più bello di quel che non sia nero?†Secondo un altro critico, il Kohler, la tragedia ci offre un magnifico studio del potere ipnotico che una persona malvagia e di forte volontà esercita su una persona semplice ed emotiva.
Iago è l’ipnotizzatore e Otello è la vittima che diventa un docile strumento nelle sue mani. A parte l’anacronismo, perché è assurdo parlare di scienza ipnotica al tempo di Shakespeare, questa interpretazione è smentita dalla condotta di Otello in tutto il corso della tragedia. E’doveroso però ammettere che un certo elemento di vero si può trovare tanto nella teoria dello Schlegel che in quella del Kohler, perché indubbiamente il fatto che Otello è un moro, contribuisce a giustificare agli occhi del pubblico l’eccesso del suo furore e, dall’altra parte Iago sembra che eserciti, con la sua astuzia diabolica, una specie di fascino sull’animo credulo del suo generale; ma non bisogna esagerare.
Far di questo elemento di verità il problema centrale della tragedia, significa fraintendere la potenza creativa di Shakespeare. E’come voler interpretare in senso moderno il pensiero politico dantesco; con un po’di buona volontà e con qualche lieve cambiamento, si può fare di Dante il precursore di Cavour e il fautore della Lega delle nazioni. Dobbiamo dunque guardarci da questa tendenza di modernizzare Shakespeare e, dobbiamo anche stare in guardia contro l’ammirazione idolatra che rende ciechi ed acritici. Nell’accingerci ad esaminare una tragedia shakespeariana, bisogna anzitutto cercar di riviverla come opera d’arte e secondo il proprio gusto e, per fra questo occorre liberarci da ogni preoccupazione linguistica, psicologica o morale, saper resistere alla tentazione di abbandonarsi a sottili analisi di caratteri o a ricerche di reconditi processi mentali, uscire dal mondo contemporaneo circoscritto dalle nostre idee, dai nostri preconcetti, dalle nostre consuetudini e, trasportarci lentamente nel mondo caleidoscopico del poeta.
Tendete quindi la vostra mano a quella narrativa del grande William e lasciatevi condurre, senza timori, reverenze o soggezioni inutili…Shakespeare lo si deve vivere, principalmente: portate le sue parole, i suoi personaggi e i suoi intrecci dentro alla vostra quotidianità e diventerete Voi stessi, adorati e devoti BeppeBloggisti, i personaggi prediletti dell’insuperabile Genio di Stratford upon Avon!! Buona lettura!! Vostra Elena P.