La vicenda artistico-pittorica di Silvestro Arnosti, originale pittore cenedese operante tra il XVI e il XVII secolo, attendeva da anni un profilo organico e completo. Una ricostruzione sistematica dei dati raccolti, che compendiasse certe parziali valutazioni intorno al percorso biografico e all’evoluzione creativa di un fedele esponente del tardomanierismo vittoriese e prealpino. Va subito detto che non un vuoto bibliografico o una latitanza di fonti critiche circonda la figura dell’Arnosti.
Tant’è che numerose pubblicazioni, di considerevole rilievo, si susseguono tra gli anni Quaranta e Sessanta. Basti citare su tutte la sobrietà accademica dei testi del Maschietto e del Menegazzi, imprescindibili capisaldi di una prima e, a tratti, sommaria catalogazione delle opere arnostiane. Studi e valutazioni, che vanno certo inquadrati secondo la loro genesi strettamente manualistica. Ricorrenti quindi le pagine, ove si stagliano i caratteri eccessivamente speculativi, a danno dei supporti documentaristici e di un ampio posizionamento storico-culturale della produzione arnostiana.
Ad integrare quest’unilateralità interpretativa,d’evidente matrice idealistica, intervengono nel corso degli anni Novanta alcuni approfondimenti,che per rigore filologico e puntualità archivistica spianano la strada ad una ben più corposa trattazione monografica. Ricchi di entusiasmanti novità, sul piano attributivo e compilativo delle opere, appaiono i saggi redatti dallo studioso fregonese Giorgio Mies nel 1991 e 1999, rispettivamente sui periodici “Prealpi informazioni” e “Il Flaminio”. In ossequio a una maggiore esaustività critico-metodologica, che muove da un’accurata ricognizione di tutti i 30 dipinti del “corpus arnostiano, il Mies non rinuncia a confermare dati precisi sulle vicende individuali, sulle scansioni cronologiche,sulla realtà sociale e materiale dell’Arnosti.
Ma la peculiarità rilevante dei suoi interventi sta tutta in una delineazione più vivida del talento iconografico arnostiano. Finalmente un profilo organico e completo dell’artista, disegnato attraverso una serie d’inediti riferimenti attributivi (la pala “Madonna col bambino in trono” della chiesa di Sonego;i dipinti della chiesa di Rugolo e del celebre “altariol da Palù), che meglio chiarificano la sua singolarità espressiva. Da citare per l’interesse storiografico le ricerche genealogiche effettuate nel 1998 da Giovanni Tomasi, relative alle ascendenze bergamasche della famiglia de Arnosti e al suo progressivo radicamento in contrada Meschio.
Una trama articolata di fatti biografici (il susseguirsi delle committenze ecclesiastiche; i numerosi incarichi della municipalità cenedese) e di snodi culturali (i legami con i Vecellio e con Scholae e Luminarie laiche) caratterizza infine gli studi di Oscar De Zorzi, condotti in un’ottica di “ricerca sul campo”, negli archivi, nelle biblioteche e nei centri religiosi del Vittoriese. L’Arnosti che emerge da questi saggi va letto e ripensato in chiave prettamente territoriale, come sosteneva il Longhi sempre in rapporto a un dato tempo e a un dato luogo.
E’ un artista che vive e matura nei primi decenni della Controriforma in un’area geografica ben precisa,con al centro la contea vescovile di Ceneda e tutt’intorno la provincia bellunese e trevigiana. Seppur immerso tra il gigantismo manieristico del Tiziano e gli epigoni del genio tizianesco (Marco Vecellio,il Frigimelica, Palma il giovane) l’Arnosti preannuncia con precisione d’accenti e compiutezza cromatica la magistrale lezione tintorettesca. Vostra Elena P.