Il fiero colonnato di stile dorico, che adorna frontalmente il Tempio canoviano di Possagno, appare agli Occhi magici del Nikonista, che, con ispirazione fulminea e determinazione esecutiva come pochi, mette a segno un Capolavoro fotografico dall’ordine incantato, dallo slancio ieratico, dall’armonia superiore, tipica delle Opere d’arte ben riuscite, giacchè ben ideate e ben realizzate, in un geniale lampo creativo. Il Capolavoro di Maestro Beppe si carica di universalità e d’immortalità, supera la sfida con il tempo e con la smania del presente dominante (la genialità va oltre la scansione del tempo) e, alza il sipario su epoche madri e generatrici di forme d’arte d’eccezionale portata culturale.
Eccoci, quindi, grazie al Nikonista, protagonisti di un viaggio speciale fino alle origini della Grecia classica del V-IV secolo prima di Cristo e, all’ascesa dell’arte panellenica (da pan prefisso greco che significa tutto, quindi arte pienamente greca), di cui lo splendido colonnato canoviano è erede emblematico. Con l’espressione di arte panellenica s’intende quella particolare condizione della civiltà greca nel V secolo a. C., che realizzò, di fatto, un’unità culturale tra i vari Stati della penisola, in apparente contraddizione con lo spirito d’autonomia, che guidava e distingueva l’agire di ogni polis. L’arte, più di ogni altra manifestazione, mette in risalto questa fisionomia unitaria del mondo ellenico, tanto che un greco classico, come afferma lo storico Moses I. Finley, dovunque andasse si trovava in un ambiente familiare.
Sotto questo profilo non pare giusto, quindi, riservare ad Atene un posto esclusivo, che la ponga al di sopra di qualsiasi altro centro, facendole assumere l’aspetto di unico tempio dell’arte. Atene, pur nel suo primato, non è la sola ad avere le grandi opere di architettura, di scultura e di pittura, all’interno della penisola ellenica. D’altro canto, gli artisti stessi si spostavano da un centro all’altro, realizzando quelle grandi opere pubbliche, che le diverse polis commettevano loro. L’artista greco è sempre al servizio della comunità: pertanto, nella Grecia occidentale soprattutto, si può dire che esista uno spirito artistico unitario, il tempio dorico, ad esempio, si diffuse con incredibile rapidità, segno evidente che quest’ordine architettonico veniva scelto, secondo una precisa ed omogenea richiesta da parte del pubblico.
Il Partenone di Atene è uno dei più significativi esempi di arte dorica, un monumento di assoluta armonia e perfezione costruttiva. L’ordine dorico presenta le seguenti caratteristiche sugli elementi essenziali: la colonna, fatta di un fusto cilindrico rastremato verso l’alto; lungo il fusto compaiono scanalature e non esiste un piedistallo; il capitello, che si presenta come un tronco di cono capovolto; la trabeazione (la parte che poggia sul capitello) realizzata con un architrave (parallelepipedo liscio), con un fregio costituito da rettangoli scanalati verticalmente (triglifi), alternati e graduati (metope) e con una cornice terminale. L’ordine ionico invece s’impone per le seguenti caratteristiche: la colonna poggia su base circolare, che a sua volta è sovrapposta a un plinto (parallelepipedo); presenta un fusto slanciato, di forma cilindrata, sul quale compaiono fitte scanalature; il capitello è costituito da una fascia orizzontale, decorata con ovuli, sulla quale poggia un elemento con due riccioli (volute), che fanno da coronamento alla colonna; la trabeazione è realizzata con un architrave, in cui compaiono tre fasce diversamente sporgenti.
In Grecia non esiste una committenza privata, così come sono pressoché inesistenti palazzi o castelli di singoli cittadini. I grandi edifici, le realizzazioni artistiche monumentali come i templi o i teatri, ma anche le statue i dipinti, sono di tutti, sono dello Stato. E l’artista greco è al servizio della comunità , nella precisa convinzione e col preciso compito di rendersi utile ad essa. A questo proposito va chiarito che la figura dell’artista presso la cultura ellenica non esiste; non esiste neppure la parola che possa denominarlo. “Techne†è il termine col quale si esprimono, contemporaneamente, l’idea di arte e l’idea di tecnica e, presuppone la capacità , da parte di un individuo, di fare qualcosa della quale il pubblico possa fruire in termini pratici. Qualcosa di non utile non può neppure essere bello, dal momento che i Greci non distinguono, non separano, non scindono le due entità .
Il popolo greco è dedito al culto dell’armonia e del bello: guardando l’arte classica, si ha sensazione quasi immediata che il popolo greco fosse dedito al culto della proporzione e dell’armonia. Tale impressione non è lontana dalla realtà . La cultura ellenica infatti concepiva il bello come una virtù, legata ad altre virtù morali e politiche. Il bello era segno di bontà , di coraggio, di raffinatezza spirituale e di generosità . E con il termine “kalokagathia†veniva espressa questa inscindibilità tra bello e buono, che significava un ideale di perfezione al quale l’uomo doveva aspirare. Il codardo è automaticamente brutto e il brutto è codardo: quasi che l’una condizione non possa che riflettere ineluttabilmente l’altra. L’idealità della “kalogathia†si trova espressa, artisticamente, secondo quei principi di utilità ai quali nessuna realizzazione doveva sottrarsi. Chiunque si fosse recato sull’Acropoli di Atene, per citare un esempio, doveva riceverne un’impressione di equilibrio e di bello assoluto che realizzava nella pratica, nell’invenzione di una forma, l’ideale che l’individuo doveva perseguire in ogni sua azione. Templi e statue, dato che le opere pittoriche sono andate perdute, testimoniano appunto questi sentimenti.
Il Tempio greco era progettato per essere contemplato dall’esterno: gli ariosi edifici sacri sulla sommità della collina non s’impongono sul resto del paesaggio, come avveniva, ad esempio, per i templi delle civiltà fluviali, ma sottolineano con l’eleganza e con il ritmo la presenza dell’uomo. Anche il tempio egizio usa la colonna, ma la usa in modo massiccio, facendo di essa la parte predominante della costruzione, allineandola con le altre in modo serrato e lasciando scarsi intervalli di vuoto, tra l’una e l’altra. Per gli egizi questo elemento deve imporsi in tutta la sua grandezza come momento maestoso che chiude l’interno, rendendolo impenetrabile agli sguardi, serrato in sé stesso. Il tempio greco di epoca classica, invece, cerca dei ritmi più ariosi, aumenta gli spazi tra colonna e colonna, dando ad essi molto valore. Così il vuoto diventa importante quanto il pieno e l’uno e l’altro generano rapporti di chiaroscuro, di luce ed ombra, secondo equilibri accuratamente ricercati e studiati.
Non bisogna dimenticare che per i Greci, il tempio non era luogo di culto, nel senso che all’interno di esso non si svolgevano cerimonie religiose, con partecipazione di fedeli. Queste costruzioni erano progettate soltanto per essere contemplate dall’esterno e, come sostiene lo storico M.J Finley, prima che si costruissero i palazzi e le ville ellenistiche, gli architetti greci non si occupavano molto degli interni. Sotto questo aspetto niente di più falso della nostra consueta impressione: noi vediamo delle rovine, camminiamo all’interno del Partendone e dei templi di Paestum. I geci vedevano materialmente qualcosa di diverso ed, erano soddisfatti di contemplare le strutture squadrate, ad angoli retti, punteggiate da colonne. In altri termini contemplavano quell’insieme armonico ed equilibrato, a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza.
La stessa attenzione al ritmo e allo spazio, vista per l’architettura, la si può ritrovare nella scultura. D’altro canto le due forme d’arte erano strettamente legate, fino al punto che lo scrittore poteva essere la figura dominante di un progetto architettonico. Le statue greche arcaiche, come quelle egizie e mesopotamiche, non utilizzano lo spazio a fini espressivi. Esse sono chiuse in se stesse, secondo quattro lati ben definiti: il davanti, il dietro e, i due fianchi. Ogni lato si presta, esclusivamente, ad una visione frontale e piatta, secondo un preciso schema che evidenzi, da qualsiasi punto lo si guardi, la rigidità maestosa e impenetrabile dell’opera.
Diversa è la scultura greca del periodo classico. Essa ritrae un uomo più libero, più padrone di sé, più consapevole della propria dignità e della propria importanza nel mondo. I soggetti rappresentati nell’opera si aprono nello spazio su infiniti piani, quindi si offrono agli sguardi da infiniti punti di vista. La scioltezza dei movimenti conferisce ala figura quella leggerezza sconosciuta alle opere del periodo arcaico. Ogni scultura viene studiata rigorosamente nelle proporzioni, tutto deve rispondere a quei criteri di equilibrio che già abbiamo visto ispirare la struttura del tempio, nell’ideale affermazione della “kalokagathiaâ€. Al prossimo “girovagare” artistico nel tempo!! Vostra Elena P.