Si addentra nella storia di 175 cognomi tarzesi, ricostruendone origini e significati, lungo un’evoluzione cronologica di ben 7 secoli (1181-1866). Cognomi indigeni o “foresti” (65, quindi circa un terzo), “naturalizzati” tarzesi a tutti gli effetti. Con precise varianti locali, diminutivi e comuni soprannomi d’interi casati. Sono i numeri eloquenti di “Gente di Tarzo”, (pp.162, Dario De Bastiani editore; 13,00 €), ultima fatica saggistica, in coppia, di Bruno Michelon e Giovanni Tomasi, entrambi tarzesi “doc”, ormai da molte generazioni.
Siamo di fronte a una puntuale mappatura delle forme cognominiali più ricorrenti, fino all’Unità d’Italia, nella zona dell’alto bacino del Cervano. Vale a dire tra Tarzo e le principali frazioni contigue di Arfanta, Corbanese e Fratta. Una raccolta di cognomi (onomastici; locativi; aggettivali e derivanti da mestieri d’altri tempi) che, per sistematicità di ricerca e compilazione, si connota come un dizionario storico- etimologico dei Tarzesi in formato ridotto. Il primo, nel suo genere, per una comunità dalla forte vocazione economica e multiculturale nel corso dei secoli. Una comunità, quella di Tarzo, che all’autarchia economica unisce fin dal XII secolo una netta fisionomia amministrativa: è capitale della vicecontea vescovile, quindi della podesteria veneziana e del Comune omonimo.
Perno di continui flussi immigratori e scambi commerciali con il Bellunese, che favoriscono l’attecchirsi in zona di variegate espressioni cognominiali. I registri anagrafici parrocchiali e gli Statuti amministrativi confermano la presenza a Tarzo di una fertile borghesia, fatta di notai, burocrati, vicari e visconti. Emergono nelle file d’alto rango, tra gli oriundi i Brocca, Longo, Lucis e Mondini; tra gli stranieri gli spagnoli Latras; tra i foresti degl’immediati dintorni i Brunetta da Cison, i Vizamano da Cavasso, i bellunesi Da Pagano, i cenedesi Pravitelli e i coneglianesi De Petrucis. Piccolo centro più isolato, prettamente boschivo e dedito all’agricoltura, nell’antichità Arfanta si caratterizza per numerosi contadini, sopraggiunti in loco dalle località più vicine: i Da Rivera di Feletto, i Del Zane da Miane, i Donà da Revine, i Brun e gli Zorgno da Cison.
Languono ad Arfanta le attività artigianali, ad eccezione dei carbonai; mentre in località Resèra il toponimo “Molin” comprova la presenza di un esercizio molitorio. Adagiata sulle colline ai lati del Cervano e ricoperta di rigogliosi vigneti, Corbanese è fin dalle origini luogo eletto di visita e di residenza di ricche famiglie coneglianesi e di molti latifondisti bellunesi ( segnaliamo i Pagani e i de Gironcoli, originari di Limana). Tra le più radicate e antiche famiglie corbanesi spicca quella dei Ruberti, imprenditori nel ramo dell’orologeria fin dal primo capostipite documentato: nel 1628 Domenico de Vettor Ruberti. Lontana dalla rete viaria e penalizzata sul fronte del ricambio immigratorio, Fratta annovera tra i suoi cognomi tipici i Dal Gobbo, gli antichissimi Da Riema, l’insigne famiglia notabile dei Rossi e i Bonetti.
Assolutamente da non trascurare la postfazione del volume, che si articola in una serie assai rilevante di elenchi nominativi e in un pregevole apparato iconografico di stemmi, famiglie e personalità locali. Nel dettaglio gli elenchi riguardano i sindaci reggenti la comunità di Tarzo dal 1866 (Giuseppe Baldo) al 1995 (ingegner Alberto Dalla Bona); i caduti e dispersi di tutte le guerre dal 1896 al 1945, figli di queste terre; i caduti del periodo controverso della Resistenza 1944-1945; i 15 ebrei internati, tra il 1941 e il 1943, presso l’albergo Venezia di Tarzo (tra cui il celebre compositore viennese Leopold Krauss Elka). Uno studio rigoroso e una lettura emozionante, che lascia il gusto nostalgico del viaggio nella memoria dei nostri “campanili”. Buona lettura!! Vostra Elena P.