Il rinnovato itinerario espositivo del museo attraversa tutte le fasi del percorso dell’artista, con un andamento generalmente cronologico e capace di consentire raffronti tra le diverse tecniche nelle quali il maestro si è cimentato, dalla pittura all’incisione, dal disegno all’acquerello, evidenziando le variazioni sui temi a lui più cari. Parliamo del Museo Morandi, a Bologna, che ha riaperto le porte ai visitatori dopo una breve pausa per lavori di riallestimento della collezione permanente.
Tornano ad essere esposti trentatre tra i capolavori che hanno decretato il successo dell’antologica Giorgio Morandi 1890-1964, prima al Metropolitan Museum of Art di New York, poi al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, che sono ricollocati in un percorso di visita completamente riconfigurato. Il nuovo allestimento si inserisce in un anno particolarmente significativo per la vicenda morandiana: oltre alla citata mostra al MAMbo e al Met e all’esposizione sulle incisioni a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dopo l’estate aprirà al pubblico la casa-museo dell’artista situata in via Fondazza, il cui restauro è stato co-finanziato dal Comune di Bologna e da Unindustria Bologna ed è realizzato su progetto dello studio Iosa Ghini.
Il Museo Morandi di Bologna, ospitato nel prestigioso Palazzo d’Accursio, cuore civile e culturale della città’, ospita a sua volta la più’ ricca collezione di opere di Giorgio Morandi, in una dimensione espositiva ricca di momenti di approfondimento e di riflessione. Infatti le 254 opere di cui si compone oggi la raccolta (62 dipinti a olio dal 1910 al 1964, 18 acquerelli, 92 disegni, 78 acqueforti, 2 sculture e 2 lastre incise), sono esposte in spazi ampi e silenziosi ove si spande la luce morandiana, quella stessa luce attraverso cui l’artista ha saputo far vibrare la sua immagine assumendone le qualità’ di trasparenza dalle limpide atmosfere delle colline bolognesi.
Il percorso espositivo e’ completato dalla rigorosa ricostruzione della camera-studio di Morandi con arredi, strumenti e modelli originali; da spazi ove sono raccolte opere provenienti dalla sua personale collezione d’arte antica; dalla biblioteca-archivio dove sono catalogati tutti i suoi volumi d’arte e di letteratura ed un vasto patrimonio di materiale storico documentario relativo alla sua opera ed alla sua personalità’.
Un servizio oggi indispensabile come la Bottega del Museo é a disposizione del pubblico, che può ugualmente usufruire di visite guidate su prenotazione e di particolari agevolazioni nella visita. Tutti i locali sono dotati di un sistema di climatizzazione e di accessi per i disabili. Il Museo Morandi organizza rassegne dell’artista in Italia ed all’estero, realizza pubblicazioni monografiche. Presso la sua stessa sede propone mostre, ospita incontri con personalità italiane e straniere della cultura e dell’arte.
Morandi “non ebbe mai un “atelier” nel senso pomposo del termine. Viveva e lavorava in una camera di media grandezza, una finestra della quale dava su un piccolo cortile ricoperto di verde che conosciamo da numerosi suoi quadri, che egli dipingeva per così dire furtivamente al riparo di questa finestra. Qui si trovava anche la sua brandina, un vecchio scrittoio e tavolo da disegno, una specie di libreria, il cavalletto e poi tutt’intorno su stretti scaffali l’arsenale, in attesa discreta, delle semplici cose che noi tutti conosciamo attraverso le sue nature morte: bottiglie, recipienti, vasi, brocche, utensili da cucina, scatole.
Le aveva scovate chissà dove, per lo più da rigattieri, si era innamorato di ciascuna di esse e le aveva portate a casa una a una, per poi disporre in fila questi trovatelli quali suoi compagni di stanza – in via sperimentale e con grandi speranze. Qui si trovavano dunque i suoi modelli veri e propri: le “cose” nel loro isolamento silenzioso, gli interlocutori del suo incessante dialogo. Lo guardavano di notte al chiaro di luna; lo incuriosivano nel riflesso della luce dell’alba; nel corso della giornata, allorché vi prestava momentaneamente attenzione, sembravano muoversi e si ritiravano nella propria immobilità, come ragni che si fingono morti, quando dava loro soltanto un’occhiata di sfuggita, distratto dalle cure del giorno. Quanto più essi diventavano parte del suo mondo abituale, dimostrando il proprio diritto di cittadinanza attraverso un crescente strato di polvere, tanto più gli stavano a cuore.
Tutto ciò sembrava molto ordinato, in un modo piuttosto piccolo-borghese, relativamente ordinato, infatti intorno, davanti e dietro al cavalletto vi era abbastanza spesso una traccia evidente di inquietudine e di caos. Là si trovava una consolle a tre ripiani. Nel settore più basso, che poteva comprendere anche il pavimento, giaceva una confusione di quegli oggetti che l’avevano colpito a un primo attento esame ma che poi gli si erano dimostrati insufficienti per un discorso prolungato. Al piano di sopra si trovavano oggetti come comparse in attesa di un’ancor possibile entrata in scena. Ma la scena, sulla quale comparivano i protagonisti scelti come interlocutori di un lungo dialogo, si trovava nell’ultimo ripiano, situato pressoché all’altezza degli occhi.
Lì si trovavano queste cose scelte in tutta la loro imperturbabile solitudine; nelle mutevoli composizioni acquisivano una sconcertante personalità e cercavano anche di allacciare fra loro delle sottili relazioni dalle quali si costituiva pian piano, lentamente dalla loro prossimità, una compagine armonica. L’arrangiatore paziente era Morandi, che stava a vedere con dedizione e ansia estreme il lento formarsi della comparsa delle cose. Tutto ciò poteva durare dei giorni. Egli tornava continuamente davanti a questo piccolo teatro dell’autorealizzazione degli oggetti, li spostava qua e là (non senza aver prima contrassegnato esattamente la loro posizione sul piano d’appoggio, nell’eventualità che il loro spostamento dovesse rivelarsi un errore), le metteva un po’ più avanti e un po’ più indietro per modificare il tessuto delle distanze spaziali; anche nella loro disposizione in altezza egli ricercava i rapporti persuasivi offerti dalle cose, attivava anche gli impulsi dinamici insiti nella loro forma, dall’interazione dei quali si delineava infine l’arabesco ritmico che rendeva immutabile il loro accostamento.
Non esitava nemmeno ad abbigliarli di una veste colorata quando il sorgere di una frase cromatica lo rendeva necessario. Allora egli riempiva le sue bottiglie di tinture colorate o dipingeva le sue scatole e le sue brocche. Dietro questa piccola scena degli oggetti che rappresentavano sé stessi egli poneva anche un cartone provvisto di una cornice colorata che forniva alla disposizione piatta dei piani lo sfondo delimitante. (…) Giunto a questo punto, Morandi si metteva a dipingere e trasponeva questa realtà, che egli aveva prefigurato con tanta cura, nella visualità del quadro, nella “seconda”, più comprensiva realtà“. (da Werner Haftmann, Giorgio Morandi. La vita esemplare di un pittore, in catalogo della Mostra del Centenario 1890 – 1990, Bologna 1990, Milano, Electa, 1990).
E’ nel 1933 che l’artista e la sua famiglia si trasferiscono dal n° 34 al n° 36 di via Fondazza. Morandi sceglie per sé la stanza sul cortile, la più appartata e quella in cui la luce entra da sinistra attraverso la finestra che si apre sul giardinetto con l’aiuola e l’ulivo e sui tetti toccati dall’aria dei colli. In questa camera – studio l’artista trascorre le sue ore di riflessione, lavoro e riposo, in un dialogo ininterrotto con la sua realtà e le sue immagini. E’ un microcosmo a cui non manca nulla di ciò che lo interessa e che nella sua stremata semplicità diviene per lui il luogo dell’arte e la condizione indispensabile per la sua creazione. Con l’acquisto della casa in cui Morandi abitò e lavorò e con la ricostruzione del suo studio negli ambienti originali, il Comune di Bologna nel corso del 2009 porterà a compimento il progetto di integrazione del percorso espositivo offerto dal museo.
Museo Morandi – Palazzo d’Accursio
Piazza Maggiore, 6 – Bologna
Info: 0512193332
Web: http://www.museomorandi.it
Notizia segnalata dal sito http://www.exibart.com