L’Accademia Vesuviana di Tradizioni Etnostoriche, con il Patrocinio del Comune di Somma Vesuviana e dei Ministeri ai Beni Ambientali e Culturali, del Lavoro e delle Politiche Sociali, e dell’Istruzione e dell’Università e della Ricerca (MIUR).
Sabato 9 Aprile 2011 alle ore 16,30 in Somma Vesuviana (Na) alla via Santa Maria a Castello 127, accanto al Santuario, aprirà al Pubblico il MUSEO ETNOSTORICO DELLE GENTI CAMPANE. La cerimonia sarà preceduta dalla celebrazione della Santa Messa, celebrata da Don Franco Gallo, parroco della chiesa di S. Maria a Castello.
Seguiranno gli interventi dello stesso parroco e di:
on.le Vincenzo Scotti sottosegretario agli Affari Esteri
dott. Raffaele Allocca Sindaco di Somma Vesuviana (Na)
Prof. Anna La Rana Ordinario Università degli Studi del Sannio (BN)
Prof. Angelo Calabrese Direttore scientifico Accademia – Museo
Nella qualità di Presidente dell’Accademia Vesuviana di Tradizioni Etnostoriche voglio ringraziare il Sindaco Raffaele Allocca che ancora una volta ha creduto nella nostra associazione, affidandoci il Bene ” Il Castello di S. Maria ” dove abbiamo ubicato il nostro Museo Etnostorico le Genti Campane.
MUSEO ETNOSTORICO DELLE GENTI CAMPANE
Il Museo Etnostorico delle Genti Campane incide nel Parco Naturale Antropico del Vesuvio. Inserisce il patrimonio identitario locale, tradizionale, sistematizzato con metodologia etnostorica, nel più aggiornato panorama museale demoetnoantropologico nazionale e internazionale.
La ricerca, operata in vari territori, ha esitato una cospicua documentazione a carattere etnomusicale, etnofografico, iconografico. La struttura è dotata di una Biblioteca ricca di edizioni antiche, volumi di antiquariato librario e cinquecentine. Essa funge anche da Sala riunioni.
L’annesso Archivio Etnografico Regionale, conserva documenti di pregio, carte e manoscritti, in specie pertinenti l’immenso patrimonio culturale campano. Un settore è dedicato alla ritualità cerimoniale, con una documentazione, oltre che cartacea, video – audio- magnetica e digitale.
Il Museo Etnostorico delle Genti Campane è emanazione dell’Accademia Vesuviana di Tradizioni Etnostoriche, che è un Istituto Culturale che da vari lustri opera nel Territorio in collaborazione con il Centro Internazionale di Etnostoria, fondato dall’antropologo di fama internazionale Aurelio Rigoli che ne segue lo sviluppo scientifico.
L’Accademia Vesuviana di Tradizioni Etnostoriche intesse rapporti con numerose altre strutture nazionali ed internazionali. Cura convegni, seminari, mostre, concerti, premi, oltre a corsi di perfezionamento e specializzazione. Promuove borse di studio e attività editoriali.
EDUCARE ALLA MULTICULTURALITÀ
Il Museo Etnostorico delle Genti Campane presenta forme culturali che si rivelano fortemente localistiche – ad esempio i rituali religiosi, devozionali, popolari campani – e contemporaneamente elementi che ci portano alla conoscenza di altre culture e altre storie.
Ciò che lo distingue è la complementarietà delle visioni: quella dall’interno, esito della propria cultura di appartenenza e quella dall’esterno, frutto della presenza dell’Altro. Il Progetto che lo sorregge è trasversale e l’offerta di documenti e testimonianze di provenienza diversa organizzati in una sorta di spazio condiviso, permette di apprendere secondo uno schema che prevede una pluralità di informazioni.
Tali informazioni collegano tra loro culture diverse e producono una nuova spazialità, per ambientare processi conoscitivi sempre più legati alle forme di identità plurima consapevole delle contaminazioni, negli inevitabili scambi e prestiti culturali che, oggi, ci connotano. Va detto però che, per non dimenticare la necessità di conservare la forza delle nostre “radici”, nonostante la molteplicità degli indicatori culturali che rimandano a culture diverse, il Pulcinella, nelle sue diverse fogge ed espressioni, è stato scelto quale emblema di questo nostro Museo, ed è pertanto una presenza costante in tutte le sale espositive.
All’ingresso è subito visibile la ritualità della Madonna a Castello con il più importante dei suoi “cantori”, Zì Gennaro ‘o Gnundo. A seguire (da destra verso sinistra) le ulteriori testimonianze in cui espiazione, richiesta di salvezza e sacralità formano un tutt’uno per raccordare gli Uomini al Divino. Sono visibili immagini che richiamano il Venerdì Santo di Sessa Aurunca, il Rituale della Madonna dell’Arco con i suoi Fujenti, la Festa dei Gigli di Nola, e il fuoco propiziatorio e purificatore delle Vampe di Sant’Antonio (13 Gennaio).
Salvezza e purificazione trovano poi esemplare specificazione nella sala più significativa e grande del Museo dedicata alla Natività. Vi è infatti rappresentato il Natale in un tripudio di Angeli che, nell’ottica multiculturale, connotativa del Museo, appartengono in massima parte alla tradizione di matrice spagnola dell’America Latina. I molteplici Presepi in Mostra rispondono alla tradizione contadina e non, e viene evidenziato come l’Uomo assista all’Epifania del Sacro, nell’Evento della Nascita Miracolosa.
LA MADONNA A CASTELLO
Il pianoro denominato Castello, si staglia a circa 700 m. sopra la Città di Somma Vesuviana. Lì, a partire dal Medioevo, si era posto l’Eremo Cristiano; e lì a partire da tempi lontani, è nata una Chiesa piccola e povera che accoglie una Statua della Beata Vergine Maria, scolpita in legno, un po’ tozza e scura con il Bambino rubizzo e forte che le copre il ventre. Questa Madonna miracolosa è celebrata in una Festa straordinaria che si svolge il 3 maggio.
Si sale alla Montagna ed al Santuario con un devoto pellegrinaggio. Avvenuta in Chiesa l’offerta di fede dell’antica “Paranza d’ o Gnundo “, si svolgono sul sagrato le tammurriate al ritmo assordante delle tammorre. Il tamburo evoca il rombo del Vulcano, mentre il canto e le danze si fanno sempre più forti ed ossessivi. I canti “a figliola” e a “fronn”e limone” si alternano incessantemente sul ritmo delle sfrenate tarantelle.
La festa terminerà con l’offerta della Pertica che è una lunga asse di legno di castagno con in cima l’immagine della Madonna a Castello, e lungo il tronco ha, al pari di un Albero della Cuccagna, i prodotti tipici del territorio: castagne, limoni, mele; e poi, dolci e torroni; il tutto adornato con il giallo intenso dei fiori di ginestra. La Pertica è un’axis mundi (asse del mondo) oggetto propiziatorio che con i suoi emblemi sacri e profani congiunge simbolicamente il Cielo con la Terra. Una Pertica è offerta alla donna in segno di rispetto e di buon augurio.
PIANO TERRA
LA NATIVITA’
La rappresentazione figurativa della Natività risponde ad un rituale collettivo, di forte significato religioso, ma anche ricco di emozioni e suggestioni. Il codice è sempre popolare. I personaggi: pastori, contadini, artigiani; gli animali; la Natura, tutto contribuisce a individuare la molteplicità dei paesaggi locali ricostruiti negli “scorci di vita” vissuta da tanti protagonisti che compongono la scena del Natale. La nascita di Gesù attraverso il Presepe richiama tutti, indistintamente, credenti e non, ad un bisogno di pace, gioia e serenità domestica.
LA RELIGIOSITA’ POPOLARE
La Religiosità popolare si nutre delle commistioni dei tratti specifici della religione ufficiale con quelli della religione contadina nelle sue forme storiche regionali e locali nonché delle interconnessioni che, nel corso dei secoli, si sono determinate tra gli elementi culturali e mitologici della fase precristiana e la religione cristiano – cattolica.
Nella Civiltà contadina il piano religioso rivela tutto un contesto di credenze, atteggiamenti, comportamenti cerimoniali, relazioni con i Santi che ha lo scopo di richiedere una protezione dai pericoli e dai mali economici e sociali che insidiano l’esistenza dei devoti. Non a caso, in un angolo è posizionato San Gennaro che protegge Napoli e Somma dalle eruzioni del Vesuvio. Questo modo di pensare si esprime con pratiche che mirano ad ottenere, anche con forme espressivamente forti e realisticamente rappresentative – si pensi alla processione dei Penitenti di Guardia Sanframondi – una protezione gratificatoria e compensativa.
EDICOLA VOTIVA
Le Edicole Votive distribuite sulle case, sulle strade, ai crocicchi delle vie, hanno il compito di rappresentare uno “spazio religioso” in cui domina l’immagine sacra in grado di svolgere la sua funzione di intercessione e protezione anche all’esterno della Chiesa. Erette il più delle volte come ex voto, esse divengono dei veri e propri “luoghi di culto”. La protezione dei Santi si riversa sul paesaggio; su quanti hanno voluto ed edificato l’Edicola e/o ne hanno cura e anche su quanti vivono nella strada, nel vicolo, nel quartiere, nel rione, nella contrada, in cui essa fa bella mostra di sé.
TAMBURI A CORNICE
Sono raccolti in questa parete numerosi tamburi a cornice di varia provenienza (Arabi, Persiani, Italiani, Irlandesi, ecc. ). Tecnicamente un tamburo a cornice (frame drum in inglese) è definito come un tamburo la cui profondità è inferiore al diametro. Esiste materiale iconografico, che mostra l’uso assai antico dello strumento, soprattutto durante rituali o cerimonie religiose. Il suo assemblaggio avviene, di norma, stendendo una pelle di animale, precedentemente bagnata in acqua, su di una cornice quasi sempre di legno. Alle pelli animali finora usate si sono recentemente aggiunte quelle sintetiche. In ogni caso la conciatura della pelle incide notevolmente sulla qualità del suono. Talvolta vengono aggiunti sonagli o altri artefatti metallici per arricchire il suono come nel caso del tamburo italiano. Fra i tamburelli che suonano “a festa”, particolare è quello siciliano che appare molto decorato.
LA TAMMORRA
E’ lo strumento principe della tradizione campana. E’ un grosso tamburo a cornice con la membrana di pelle seccata di animale ( quasi sempre capra o pecora ) tesa su un telaio circolare di legno, al quale sono fissati, a coppie, dischetti di latta detti cicere oppure cimbale, ricavati dai barattoli usati per la conservazione dei pomodori.
Il suo diametro è in genere compreso tra i 35 e i 65 centimetri. Questo strumento si suona impugnando il telaio verticalmente, dal basso con la mano sinistra, mentre la destra percuote la pelle ritmicamente. Nell’area vesuviana, la tammurriata ha luogo soprattutto in rituali religiosi durante i pellegrinaggi devozionali alla “Madonna ‘a Castello”. Quando la tammorra viene impugnata con la mano sinistra e percossa con la destra, si dice che viene suonata nella maniera maschile. All’opposto si dice che viene suonata alla maniera femminile. L’inversione dell’impugnatura indica dunque un rovesciamento dei “segni” del rituale.
LA TAMMURRIATA
Oltre alla tammorra, numerosi altri strumenti rendono ricca l’esecuzione della tammurriata: il putipù, detto anche cacavella, il triccheballacche, lo scetavajasse, la treccia, la tromba degli zingari o scaccia pensieri, il flauto dolce e il doppio flauto a becco. Si individuano almeno tre stili diversi di ballo sul tamburo: il domiziano – casertano, che prevede, durante l’esecuzione musicale, un solo tamburo a ritmi semplici, mentre il ballo presenta una grande varietà di “vutate”, cioè i modi di girare allacciati o ravvicinati tra uomini; lo stile vesuviano – sarnese – sommese, che è invece caratterizzato da una paranza di suonatori e numerosi strumenti. Si distingue per la “vutata”, che avviene in coincidenza con una “botta” di tamburo, in corrispondenza con una intensificazione ritmica.
Infine lo stile nocerino, che prevede una maggiore partecipazione pantomimica, con avvicinamento frequente dei corpi, movimenti oscillatori del bacino, piegamenti sulle gambe e un intenso e variato muovere arcuato delle braccia verso l’alto.
LA ZEZA
La Zeza è la moglie irrisa e irridente di Pulcinella. La Canzone di Zeza è la voce di un tipo di maschera che prevede, nel rituale diffuso del carnevale campano, il travestimento femminile. L’Uomo vestito da donna nella rappresentazione della Zeza ha abiti vistosi che appartengono a un mondo borghese ottocentesco, con collane, parrucche, guanti, scialli, stoffe di seta spesso ricamate.
Il trucco pesante accentua la volgarità degli atteggiamenti femminili e con il suo, mutarsi in donna l’Uomo maschione allontana da sé la morte e il timore della castrazione quale suo contenuto latente. Alla virilità attiva si allude, anche, con gli strumenti: scetavajasse e triccaballacche che accompagnano il rituale carnascialesco.
PRIMO PIANO
IDENTITÀ E PLURALISMO CULTURALE
Nella società attuale globale, moderna, contemporanea esistono modelli di vita identitari legati a ruoli tradizionali ed esistono stili di vita del tutto nuovi, frutto della presenza di linguaggi, processi culturali e religioni, in origine esterni al Mondo Occidentale, introdotti dai migrantes oppure diffusi dai mezzi di comunicazione di massa. Tutto ciò ha determinato un nuovo assetto sociale ed economico, dando origine ad importanti cambiamenti culturali. I tradizionali concetti di territorio e di confine e lo stesso rapporto tra cultura e territorio vanno, perciò, ridefiniti e rivisitati, tenendo presente che la nostra realtà è costituita dalla compresenza necessaria della pluralità delle esperienze vissute e virtuali che ci condizionano in misura dinamica e mutevole.
La nostra odierna società è nello stesso tempo locale e globale. Però per conoscere la diversità è importante prima conoscersi. Cioè a dire: ogni cultura, ogni popolo, ogni comunità, sarà modernamente universale, se sarà in grado di combattere l’omologazione, rispettando il proprio bisogno di comprendere il patrimonio delle proprie tradizioni culturali.
LA FESTA DELLE LUCERNE
Questa Festa si svolge a Somma Vesuviana di norma ogni quattro anni ed è dedicata alla miracolosa “Madonna della Neve”. Essa si svolge nel borgo medievale del Casamale. Qui nei giorni di festa, i vicoli sono illuminati da migliaia di piccole lucerne ad olio disposte su delle strutture di legno che hanno una forma geometrica tipica per ogni vicolo: il triangolo, il quadrato, il rombo, il cerchio.
Intorno l’intiero borgo è parato a festa con pergolati di felci e rami di castagno, festoni di carta colorata e palloncini variopinti. Nei vicoli si svolgono scene di banchetto con coppie in carne ed ossa o coppie di contadini/ fantoccio, impegnati in abbondanti libagioni e in vari atteggiamenti. Ovunque è la presenza di recipienti colmi d’acqua con le zucche svuotate dai semi ed intagliate ” a maschera” (stile Halloween) illuminate dalla luce funebre. L’intiero rituale nell’insieme dei suoi simboli e nella sua complessità, richiama l’arcaica rappresentazione della Morte della Natura in attesa che si possa riproporre la sua Rinascita, nell’imminenza della ripresa del ciclo agrario.
TAMBURI AFRICANI
Non esiste una musica africana, ma tanti tipi di musica quanti sono i popoli africani, che variano per realtà etniche, culturali e linguistiche. Per i popoli africani la musica rappresenta la quintessenza della loro cultura e la produzione musicale è immensa, specie sotto forma di canti e di piccole filastrocche per i bambini. Il repertorio, con i suoi sottogeneri, muta a seconda delle circostanze. Se ne fa uso per celebrare i riti di passaggio (nascita, transito all’età adulta, matrimonio, funerale, ect.) e per favorire le attività quotidiane, come ad esempio la raccolta nei campi e lo smistamento delle riserve alimentari.
La musica africana è poliritmica: sviluppa contemporaneamente diversi ritmi e li mantiene in modo costante ed uniforme, senza che uno prevarichi sull’altro. Percussioni e campane vengono utilizzate in molte zone come mezzi di comunicazione. La “Voce dei tamburi ” si recepisce a notevole distanza. Il Tamburo africano ha anche, la funzione rituale di scacciare gli spiriti maligni. E’ considerato strumento assolutamente espressivo avendo una vera e propria capacità di linguaggio. Si presenta con grande varietà di forme.
LA CASA CONTADINA
La tradizione popolare, sotto ogni cielo ed ogni latitudine, ricorda come sia importante il “culto” per il proprio “focolare”, e l’inestimabile “tesoro” della pace e della gioia domestica. In genere la casa contadina è piccola ma confortevole e in essa non può mai mancare la cassa nuziale venuta col corredo della sposa. Volgendo lo sguardo vi si ritrovano anche gli attrezzi per tessere e ricamare che erano gli “strumenti di lavoro” della massaia e delle figlie in attesa di marito. In un angolo qualche sgabello, delle sedie e un canterano/armadio con sugli scaffali qualche brocca, boccia e ninnoli vari.
Poi vi sono le stoviglie e altri oggetti da cucina e da pranzo. In Mostra è rappresentata più che altro una stanza soggiorno dove ci si riuniva, dopo il lavoro nei campi, intorno al braciere. Questo focolare portatile teneva caldo nelle serate invernali. Tutto intorno, sull’asse di legno, si appoggiavano i piedi, mentre si ascoltavano le fiabe della nonna. Un copribraciere a forma di cupola intrecciata conservava il fuoco sotto la cenere. Su di esso, a fine giornata, si ponevano, anche, ad asciugare i panni umidi.
LE MASCHERE ETNOLOGICHE
Le Maschere in specie quelle usate dai popoli di interesse etnologico non hanno funzioni decorative. Esse sono sempre legate ai rituali che accompagnano le varie manifestazioni sociali e religiose ed hanno forme e decori che sono in stretto rapporto con l’uso al quale sono destinate. Esemplari in tal senso le maschere da guerra che spesso somigliano agli elmi medievali con copricapo o visiera ed hanno un aspetto minaccioso perché devono spaventare i nemici. La materia: legno, corteccia d’albero, pelle ect., viene modellata fino a coprire il viso. La maschera, quindi, ripropone un ” altro volto” con forti richiami al mondo naturale zooomorfo, oppure riflette la Divinità in forma artificiosa, e spaventevole. Chi indossa la maschera del Dio, dell’Eroe o degli Spiriti dei vari popoli, allontana da sé il pericolo del Male.
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