Wassily Kandinskij dipingeva in maniera straordinaria, con una lucentezza coloristica capace di estasiare qualsiasi pupilla. Ma teorizzò pure dei principi straordinari, in ambito artistico. Ed arcani e, a volte, anche bizzarri, come del resto appare la sua pittura. Scrisse: “Ogni forma ha un suo contenuto ed impercettibile suono interiore. Non c’è forma, come del resto, nulla al mondo, che non abbia qualcosa da dire. Non solo la luna, il sole, le stelle, i boschi dei quali cantano i poeti, ma anche un bottone dei calzoni, tutto ha un’anima arcana, che tace più spesso, di quanto parli. Il colore è un tasto. L’occhio un martelletto. L’anima un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, con questo o quel tasto, porta l’anima a vibrare”.
Più tardi disse ancora, con profondo convincimento: “Io, personalmente, non mi spavento quando tra le mie forme astratte, se ne introduce furtivamente una che ricorda una “forma naturale”. La lascio stare tranquilla e non la cancello. Chissà, forse le nostre forme astratte sono tutte insieme forme “naturali””. Prima di Wassily Kandinskij, iniziatore del movimento astratto, nessuno aveva scritto cose simili sulla pittura. E tantissimi, dopo di lui, ne trassero ispirazione. Perchè Kandinskij, oltre che dipingere e disegnare, amava pure teorizzare. Ed amava anche la vita, i viaggi e le donne. E’ proprio a questo genio delle linee e dei punti, semplice e complicato insieme, che seppe vivere felice anche in mezzo a tragedie planetarie, a questo intellettuale cosmopolita e poliglotta, ma dall’animo profondamente “popolare” il quale, nato russo, con sangue mongolo e baltico nelle vene, morì cittadino francese dopo aver vissuto metà della vita come tedesco, desidero dedicare un ritratto inedito e di altissima qualità, focalizzando l’attenzione sui venticinque anni, dal 1896 al 1921, nei quali si compie l’intero percorso artistico di Wassily, fino al raggiungimento di quello stile astratto (“Con qualche ricordo per la forma figurativa”, come avrebbe detto di sè il suo amico Paul Klee), nel quale qualche forma “naturale” seguiterà sempre ad insinuarsi. E dove domina ora freddo, ora caldo, ora tenue, ora squillante, il colore.
Wassily Kandinskij era nato a Mosca nel 1866 in una famiglia più che agiata. Il padre, un mercante di tè siberiano di Kiacta, una città ai confini con la Cina e, nelle cui vene scorreva sangue mongolo, (qualche tratto si conservò nel viso del figlio) era un uomo dalla forte sensibilità artistica. E’ lui il primo a credere nel talento del figlio che, da giovanissimo, oscilla tra la musica e il disegno. La madre, Lydia Ticheeva, è la classica aristocratica russa che si strugge fra tensioni romantiche ed aneliti verso la bellezza “assoluta”. Quando il matrimonio inevitabilmente si sfascia, dopo un viaggio in Italia durante il quale lei s’innamora di un altro, Wassily viene affidato alla zia materna, Elisabetta Ivanovna. E’ lei ad instillare nel nipote la passione per la Russia popolare, facendogli conoscere la musica, la letteratura, ma soprattutto le fiabe. Non solo quelle russe, ma anche quelle tedesche, perchè Elisabetta ha sangue baltico. Ed è grazie a lei che Kandinskij imparerà a parlare il tedesco come il russo (più tardi apprenderà il francese, l’inglese e, un po’ d’italiano e spagnolo). Completa l’insieme di questa famiglia d’intellettuali lo zio Viktor Kandinskij, pioniere della psichiatria, principale corrispondente russo di Freud, che nel tentativo di studiare fino agli estremi l’inconscio, finirà col distruggersi con le droghe.
Prima di dedicarsi interamente all’arte, tuttavia, Wassily compie un lungo e tradizionale curriculum scolastico, laureandosi in legge ed economia (ma anche in etnologia) ed, insegnando pure, per un breve periodo, all’Università di Mosca. Ma gli studi di legge lo annoiano e, dato che non ha problemi economici, nel 1900 si trasferisce a Monaco, allora una delle capitali mondiali dell’arte, per studiare all’Accademia. Entra alla scuola di Franz von Stuck, pittore simbolista molto in voga, nella stessa classe di Paul Klee, ma ben presto se ne va polemicamente. Nel frattempo ha sposato (“Senza amore, ma con molta stima”, dirà), la cugina Anna Cemjakina, che lo ha seguito in Germania. Il matrimonio non è destinato a durare; nel 1903 Kandinskij, che da studente d’arte si è trasformato in insegnante, s’innamora di un’allieva, Gabrielle Munter, anima ardita e difficile, che occuperà un posto importante nell’arte del nostro tempo.
Con lei Wassily gira tutta l’Europa e il Nord Africa. Abbandona le atmosfere russe per quelle più solari del Mediterraneo, s’inebria al profumo del Jugendstil e si accinge a reinterpretare, in chiave sempre più astratta e geometrizzante, i “Fauves” e gli impressionisti. Davanti al quadro di Monet, intitolato “Il pagliaio”, scocca una sorta di folgorazione visiva. “D’improvviso- scriverà più tardi- per la prima volta vidi veramente un quadro e lo studiai. Il catalogo mi diceva che si trattava di un pagliaio, ma non riuscivo a riconoscerlo. Pensai che il pittore non ha il diritto di dipingere in modo così confuso. Sentìì oscuramente che in questo quadro mancava l’oggetto. E notai, con stupore e con perplessità, che il quadro non soltanto catturava lo spettatore, ma s’imprimeva indelebilmente nella memoria e continuava sempre, in modo inatteso, a fluttuare dinanzi agli occhi, fin nei minimi particolari. Tutto ciò rimaneva confuso nella mia mente…Senza che me ne rendessi ben conto, l’oggetto era screditato ai miei occhi, come elemento non indispensabile del quadro”. Fu così che Kandinskij scoprì l’essenza dell’astrattismo.
Un astrattismo che lo stimola ad un’armonia cromatica, a cui corrisponde un eguale equilibrio delle forme geometriche, con la ricerca di un effetto psicologico che va oltre l’oggetto da raffigurare. Oggetto che viene trasformato in uno sciame di linee e di ritmi soprattutto diagonali e, secondo toni originati dal blu, rosso, giallo, in diverse gradazioni e sfumature. Wassily parte dai colori, anzi dall’accostamento dei colori con i suoni musicali. Nella sua opera teorica “Lo spirituale nell’arte” fa corrispondere il giallo alla tromba, l’azzurro al flauto, al violoncello, al contrabbasso e all’organo, il verde al violino. Sostiene che il rosso richiama alla mente le fanfare, il rosa il cinabro, la tuba o il cembalo, l’arancione una campana di suono medio o un contralto che suoni in largo. Che il viola suona come un corno inglese o come i bassi dei legni. Dopo aver collegato ciascun colore ad un suono, un profumo, un’emozione precisa, l’artista afferma che, proprio grazie alle sue risonanze interiori, a seconda della sua diversità, ogni colore produce un effetto particolare, incisivo, sull’anima.
Emblematici in tal senso, sono i quadri, che Wassily intitola “Composizione”: ne realizza almeno dieci, richiamandosi ai principi della sua ispirazione creativa. Nella meravigliosa “Composizione VII”, posta in calce a questo articolo, ritroviamo un esempio classico della prima fase del suo astrattismo. Una quantità enorme di segni-colori creano una molteplicità di situazioni osservabili, anche se si fatica a cogliere un motivo unitario. Ma dimenticate, miei prodi Esploratori del mondo pittorico, le categorie utilizzate per definire ed interpretare la realtà figurativa. L’idea compositiva dell’opera in questione evoca uno spazio percettivo diverso, più mentale e simbolico che naturale e fenomenico. Intensa è la contrapposizione della parte destra con quella sinistra: nella prima prevalgono i toni atmosferici dell’azzurro contornato dal viola e, dei segni grafici leggeri, dipinti secondo un ordine di armonia. Nella metà di sinistra fa da sfondo un colore giallo che chiude lo spazio, senza sfondamento in profondità: in questa parte la forme che il pittore inserisce hanno una consistenza materica più densa; prevalgono la campiture di colore rosse ed azzurre, in forme triangolari e rotonde. L’astrattismo di Wassily, peculiare e riconoscibilissimo, compie un veloce e conturbante giro di valzer in queste opere, non esigendo alcun tipo di comprensione, bensì la totale percezione di un nuovo volto pittorico della realtà. Se poi, alla visione contemplativa delle opere di Wassily unirete, quale sottofondo musicale ideale, gli assoli chitarristici di Steve Vai, una sorta di Mozart visionario delle sei corde, allora raggiungerete lo stato più evolutivo della quiete interiore e cosmica, ossia il Nirvana. Provare, per credere: suggerimento spassionato, rivolto anche agli “addetti ai lavori”, ossia a galleristi, allestitori e curatori di rassegne espositive, con il pallino dell’Astrattismo kandinskijano.
Sono gli anni, quelli del primo Novecento, in cui Kandinskij conduce un’attività frenetica: tiene a battesimo la Nuova associazione degli artisti di Monaco ed organizza mostre con Kies van Dongen (che avrà molta influenza su di lui), Kubin, Braue, Derain, Picasso, Vlaminck, Rouault. Ma i suoi interessi non si limitano all’espressione artistica: si allargano alla musica, all’architettura ed anche all’artigianato meno nobile. Scrive pure molto: è di quegli anni la sua opera più nota, già citata, “Lo spirituale nell’arte”, che la casa editrice Bompiani ha ripubblicato, con notevole successo, qualche anno fa. Nel 1914, con lo scoppio della Grande Guerra, viene espulso dalla Germania (di cui prenderà poi la cittadinanza ai tempi della Repubblica di Weimar). Dapprima torna in Russia, poi si trasferisce in Svizzera e tronca ogni legame con Gabrielle. Allo scoppio della Rivoluzione bolscevica è a Mosca, dove conosce quella che sarà la sua compagna per il resto della vita, Nina von Andreevskj, colta e nobile figlia di un generale. Più giovane di lui di ventotto anni, Nina, che gli darà un figlio, Vsevelod, morto a soli tre anni, farà una fine atroce: ultraottantenne, verrà uccisa dai ladri penetrati in casa in Svizzera, dopo che lei, imprudentemente, aveva pubblicato un elenco di quadri di sua proprietà.
Fino alla condanna dell’arte astratta da parte del Sistema politico, Kandinskij continuerà, idealmente, ad appoggiare l’avventura rivolzionaria. Poi deluso torna in Germania, dove mette lo stesso entusiasmo nell’avventura della Bauhaus, movimento artistico degli anni Trenta. All’avvento del nazismo, che bolla Wassily come “degenerato”, riceve una cocente delusione e si trasferisce a Neully-sur-Seine, vicino a Parigi, dove morirà nel 1944. Ricco e felice, ma con il cuore pieno di nostalgia per la sua Mosca e, con il rimpianto amaro per due rivoluzioni fallite. Cominciava allora, in tutta Europa, la folle corsa dell’Astrattismo pittorico, partorito dal poliedrico talento dell’inimitabile Wassily Kandinskij, che ancor oggi consideriamo il Mistico delle linee e dei colori. A bientot, mes Amis! Votre petite fille, Elena P.
Ti ringrazio tantissimo, ho scoperto un artista a me prima sconosciuto. Ora mi rendo conto che non potevo non conoscerlo io quale amante dei colori! Un ottimo commento che arriva subito al punto focale del discorso!
esiste una corrispondenza fra klee e kandinsky(più di 80 lettere), purtroppo pare non sia pubblicata. sarei proprio curioso di sapere cosa pensava klee di kandinsky. erano amici certo, ma non so fino a che punto klee condividesse l’opera del russo. a tal proposito le fonti sono controverse. in ogni modo io penso che klee si sia spinto (più che altro dal 1926 in poi)molto oltre kandinsky.