Scrive il Vasari nelle celebri “Vite”, estasiato di fronte a tanta mirabile maestria, che il Buonarroti con tale capolavoro “ha tolto il grido a tutte le statue antiche o moderne, greche o latine che fussero”. Un impianto classico a tutto tondo, che vibra di un ideale di perfezione e potenza assoluti, così armoniosamente coesistenti, da divenire un’icona di bellezza suprema oltre che un simbolo eterno della città di Firenze.
Quando nel 1501 Michelangelo fa ritorno a Firenze è ormai un maestro affermato. La sua fama di scultore e le sue convinzioni repubblicane gli procurano importanti commissioni civiche, la prima delle quali è la straordinaria statua del David (1501-04, h 434 cm. Con la base) da realizzare in un blocco di marmo già abbozzato senza successo da Agostino di Duccio quarant’anni prima. Nel gennaio del 1504 la statua poteva dirsi terminata e nel giugno veniva posta a lato della porta di Palazzo Vecchio. Dal 1873 il David si staglia nella Gallerie dell’Accademia, sostituita in piazza della Signoria da una copia.
Al Louvre di Parigi sono conservati un disegno a penna di Michelangelo, raffigurante il braccio destro del gigantesco David e un piccolo schizzo di un’altra figura di David, che doveva essere realizzato in bronzo nel 1502. Il foglio riporta inoltre alcune note dell’artista, una della quali suona: “Davicte cholla fromba/e io collarcho” (Davide con la frombola, la fionda, e io con il mio arco). Lo storico dell’arte americano Charles Seymour, dopo innumerevoli interpretazioni, ha suggerito che l’arco possa riferirsi al trapano a mano con manico ad archetto usato dagli scultori, i cui fori, nel David, sono particolarmente evidenti nei capelli e nella definizione delle pupille. Per Seymour, il significato della nota di Michelangelo tenderebbe, quindi, a sottolineare la lotta dello scultore contro il gigantesco blocco di marmo: “Davide, nella lotta contro Golia, ha per arma una frombola, Io, Michelangelo ho il mio trapano da scultore nella lotta contro un altro gigante”.
Michelangelo supera le difficoltà di lavorare su un materiale già malamente intaccato e su un blocco di marmo stretto e lungo secondo il modulo quattrocentesco, dando vita ad un’opera di grande potenza, che condensa i principali valori artistici e culturali del Rinascimento italiano. Il maggiore stimolo a una così alta impresa viene a Michelangelo dalla sua partecipazione appassionata a quegli ideali civili ed etici, che costituivano la sostanza spirituale della repubblica fiorentina, di cui il capolavoro michelangiolesco è destinato a diventare il gigantesco simbolo. Come del resto suggerisce Vasari nelle sue “Vite”: “Laonde Michele Agnolo, fatto un modello di cera, finse in quello, per la insegna del Palazzo, un Davit giovane con una frombola in mano, a ciò che, sì come egli aveva difeso il suo popolo e governatolo con giustizia, così chi governava quella città dovesse animosamente difenderla e giustamente governarla”.
Nel giovane eroe biblico infatti i fiorentini vedono incarnate le virtù di fortezza e ira, a cui sono affidate la libertà e la gloria della città e, nell’esaltazione della sua potenza fisica e morale essi celebrano i valori umanistici della grandezza e dignità dell’uomo, necessari per difendere la repubblica. L’idea della difesa a viso aperto della libertà fiorentina (a cui rimanda probabilmente anche la nudità della figura) è una componente essenziale dell’immagine, sottolineata anzitutto dalle novità iconografiche introdotte da Michelangelo. Contrariamente al David di Donatello raffigurante l’eroe dopo l’impresa, con la testa di Golia ai piedi, quello di Michelangelo è concepito nell’atto di fissare l’avversario, nel momento di massima concentrazione fisica e psicologica in vista dell’azione da compiere: il giovane guarda infatti lontano con le sopracciglia aggrottate come a prendere la mira, mentre con il braccio sinistro ripiegato sistema la fionda sulla spalla e con una brusca flessione del polso prepara il sasso nella mano destra.
La concentrazione del protagonista si esprime così nei dinamici contorni e nei nitidi profili della figura, nel modo esemplare in cui i dati dell’osservazione anatomica sono sfruttati per caricare di vibrante energia i piani e le masse del corpo immobile, ma pronto a scattare. Moto e azione sono infatti espressi in potenza, bloccati sulla linea di confine che separa la tensione interiore, che precede lo scatto del gesto. E’ l’antico a suggerire l’idea dell’atletica figura nuda, ma Michelangelo si allontana dalla calma ponderazione delle statue classiche per imporre al suo David un duro ritmo di movimento, che finisce col rivelarne l’interna tensione psicologica. L’asimmetria della posa, con il peso portato a scaricarti sul lato destro del corpo, dove gli arti sono distesi, mentre sull’altro lato sono flessi in un accento di moto, realizza la propria unità mediante l’elastico movimento muscolare, che fluisce attraverso tutta la figura facendola vibrare di forza fisica e morale.
Se l’esattezza anatomica del David si riallaccia alla tradizione scientifica dell’arte fiorentina e alla tradizione della scultura classica, la forza creatrice e la novità espressiva di Michelangelo si manifestano nel vigore classico del corpo e nella fierezza del volto dell’eroe, umanisticamente padrone del proprio destino. Dal 25 maggio del 2004, dopo un restauro durato circa un anno, è possibile ammirare nuovamente l’opera all’interno della Galleria dell’Accademia. L’intervento, finalizzato in particolare alla ripulitura della statua ottenuta rimuovendo dalla massa marmorea le macchie scure che ne deturpavano lo splendore, si è concluso definendo un attento programma di monitoraggio a cui la statua sarà sottoposta ogni anno. Dichiaratamente “Davidiana” la scrivente vi invita a recarvi, quanto prima, al cospetto di tale Novello Adamo, che trasforma il marmo in carne dal cuore pulsante! Vostra Elena P.