La progettualità dello sguardo – Fotografie di Gabriele Basilico nella Chiesa di San Lorenzo – San Vito al Tagliamento (Pordenone) dal 16 giugno al 10 settembre 2017, curatrici: Angela Madesani / Giovanna Calvenzi, ideazione e promozione: Accademia di Architettura di Mendrisio – Studio Gabriele Basilico, Organizzazione: CRAF.
Contenuti:
La mostra, ideata e promossa dall’Accademia di architettura (USI) di Mendrisio assieme allo Studio Gabriele Basilico, presenta 60 fotografie. Tra le immagini selezionate quelle tratte dalla serie “Bord de Mer” e un gruppo di paesaggi realizzati in Italia, Portogallo e Spagna. Particolare attenzione è dedicata alla Svizzera: una serie racconta l’architettura di Luigi Snozzi a Monte Carasso e un’altra il passo di San Gottardo. Un nucleo di 40 fotografie è invece dedicato alla ricostruzione di Gemona del Friuli, lavoro che Basilico ha realizzato nel 1992.
Orari di apertura: venerdì 10.30-12.30; sabato e domenica 10.30-12.30/15.30-19.00 (ingresso gratuito)
Informazioni e contatti:
Ufficio Beni e Attività Culturali del Comune di San Vito al Tagliamento tel. 0434 833295 ;
Punto IAT tel. 0434 80251
CRAF: tel. 0427-91453 / segreteria@craf-fvg.it
La progettualità dello sguardo di Angela Madesani
Il paesaggio in Europa, a partire dagli anni Ottanta, nella fotografia di Gabriele Basilico, è il tema della rassegna La progettualità dello sguardo. In mostra ci sono immagini dalla Mission photographique de la DATAR, dai lavori Bord de Mer (1984- 1985), Porti di Mare (1990), Trentino (2003), Montepulciano Site Specific (2009) e altre fotografie dedicate a Capri, alla Val d’Aosta, al Brennero, alla Calabria, alla Sardegna, a Napoli, allo Stretto di Messina, alla Spagna, al Portogallo, alla Francia. È, inoltre, presente un importante gruppo di immagini di ambito svizzero sul passo del San Gottardo (1997) e la serie di 30 fotografie del 1992 che hanno per tema Gemona del Friuli ricostruita dopo il terremoto che l’aveva colpita nel 1976…
Se il tema costante della sua ricerca è stato la città, anche il paesaggio vi ha trovato più volte spazio, pur se in maniera non sistematica. Certo è che, quando se n’è occupato, ha messo in campo una riappropriazione dello stesso, che è riuscito perfettamente a trasmettere, in tutte le sue implicazioni di natura morfologica, estetica, sentimentale. Nel 2007 Basilico scrive: «Prima la questione dello spazio fisico e del territorio era offuscata dal flusso degli eventi e delle correlate spinte sociali, a tratti drammatiche. Così, la coscienza di quel processo di crisi e del suo stato di quasi irreversibilità, è stato alla base di un dibattito politico e culturale che ha restituito centralità al paesaggio e ha impegnato progressivamente sempre più soggetti. Un dibattito, bisogna dirlo, incentivato soprattutto dal lavoro svolto dai movimenti ecologisti nei luoghi a rischio e, su un altro piano, anche dagli artisti impegnati nella Land Art, ormai penetrata in Europa come pratica artistica legittimata».?
Il suo è un paesaggio antropizzato, segnato da strade, ponti, edifici, in cui l’uomo è assente solo da un punto di vista fisico. Il primo importante lavoro a esso dedicato è quello realizzato nel 1984, per la Mission Photographique della DATAR (Délegation à l’Aménagement du Territoire et à l’Action Régionale), dove viene invitato a partecipare, dal governo francese, unico fotografo italiano. Sceglie di occuparsi di un luogo di grande bellezza, la costa nord occidentale, della quale non esiste una particolare documentazione fotografica. È un itinerario di oltre 400 km, dal confine col Belgio a Mont Saint Michel, attraverso il quale si riconcilia con una tipologia di immagine che sino a quel momento gli pareva abusata, da studiare ma non da praticare. All’inizio degli anni Ottanta la riscoperta dei valori del paesaggio, della sua “normalità”, l’anti-monumentalità e, soprattutto, il bisogno di vuoto, sono determinanti per Basilico.
L’aspirazione è alla neutralità dello sguardo, per eliminare qualsiasi forma di virtuosismo autoriale.?Sempre nel 2007 il fotografo afferma: «Penso che a metà degli anni Ottanta ci fosse in me un certo tipo di attrazione e di fascinazione che generavano uno sguardo attento alle grandi visioni d’insieme e all’armonia che univa le singole parti: nelle mie immagini di quegli anni, infatti, i punti di fuga tendevano ad avvicinare l’orizzonte. […] In un periodo successivo, credo di aver mantenuto la stessa concezione allargata dello spazio, ma dilatando i tempi della sua rappresentazione; così da rendere la visione più essenziale, più neutra. I cieli hanno perso drammaticità, lo scenario è in parte più freddo, ho usato pochi toni forti ma con più gradazioni di grigio, che mi hanno permesso di avere una fotografia più omogenea, più neutra, di rappresentare una realtà con maggiore astrazione.
Forse, tutto sommato, il segno caratterizzante di questa fase è la contemplazione: una visione diretta, pura, sfrondata da ogni necessità critica e forse anche estetica, o meglio da ogni estetismo, attenta a cogliere e a restituire con grande precisione la realtà così com’è, nella sua complessità e totalità, senza giudicare. Una visione appunto neutra, normale». L’utilizzo del banco ottico, che inizia a utilizzare in questa occasione, permette di controllare e correggere la prospettiva, impone una certa lentezza dello sguardo, che favorisce la riflessione, il pensiero, la progettualità, così da creare una relazione approfondita con il soggetto.
La sua volontà è di mettersi da parte per dare vita a immagini apparentemente oggettive, in cui non vi siano filtri di sorta. Una delle missioni della DATAR è proprio quella di riuscire a leggere il fenomeno dello “sfrangiamento” del paesaggio, dall’altra di cercare di riformare dei modelli. Bisognava dare spazio ai luoghi, ma anche ai fotografi, che dovevano avere e hanno avuto libertà di interpretazione all’interno del progetto generale. Per ammissione dello stesso Basilico, il lavoro della DATAR gli dona la capacità di guardare il paesaggio con altri occhi, assai più contemplativi, che gli permettono di metabolizzarlo, di farlo suo, di viverlo in maniera esperienziale.
Porti di mare è un progetto che si sviluppa parallelamente alla DATAR. Sono fotografie scattate in undici porti, tra il nord e il sud dell’Europa, alcune già comprese nella mission. Il lavoro viene pubblicato, nel 1990, in un libro con titolo omonimo.? Nel porto sono presenti natura e lavoro dell’uomo, Basilico è affascinato dalla monumentalità degli impianti e anche dal rapporto che si viene a creare con la struttura geofisica dell’ambiente: «Ho sempre amato le grandi architetture e le grandi macchine. E quella del porto è in fondo la stessa civiltà delle fabbriche: una civiltà di grandi dimensioni che riporta a quelle cattedrali gotiche che mi avevano colpito fin da bambino». In quelle foto si è spinto a ricercare fisicamente quanto già conosceva da un punto di vista simbolico. La sua, di fronte ai porti, è una vera e propria emozione visiva, vitale e sentimentale, che talvolta si concentra in un’unica immagine, come nel caso di Le Tréport, tra Normandia e Piccardia. Una foto è il frutto di una condizione climatica straordinaria, di luce, di un momento contemplativo assoluto.
Negli anni Novanta intensa è la collaborazione tra Gabriele Basilico e la Svizzera. Nel 1997 partecipa alla grande mostra sul San Gottardo, organizzata in occasione dei quarant’anni della banca omonima. Quello sul valico alpino è un lavoro particolare, in cui le tracce dell’uomo nella natura sono come dei segni, dei disegni astratti. Le strade, le infrastrutture, di cui non si colgono né inizio né fine, sono linee nella maestà della montagna, sottolineate dalla sapiente gestione del bianco e nero. Montagna che è qui punto di passaggio e di collegamento imprescindibile tra sud e nord, luogo di meraviglia e di mito sin dai tempi antichi. Quelli di Basilico sono paesaggi sospesi, dove di rado si rintraccia il tempo della storia. È il tempo della natura, delle stagioni. Sono punti di vista sull’infinito in cui le montagne giocano un ruolo da protagonista. Un infinito che va ben oltre il simbolo presente sull’obiettivo della macchina fotografica. Nelle sue immagini di paesaggio la visione diventa una sorta di riprogettazione non immediatamente percepibile, il cui scopo è anche quello di comprendere la relazione che si viene a creare tra lo sguardo e il mondo reale. Il compito del fotografo, come Basilico ha avuto più volte occasione di affermare, è quello di lavorare sulla distanza, di prendere le misure, di trovare un equilibrio, un ordine. La sua ricerca, nel corso degli anni, è consistita nella capacità di rintracciare il senso di un particolare luogo e di creare con esso un dialogo privilegiato.
La mostra La progettualità dello sguardo. Fotografie di paesaggio di Gabriele Basilico, curata da Angela Madesani e Giovanna Calvenzi, è stata ideata e promossa dall’Accademia di Architettura, Università della Svizzera Italiana di Mendrisio, in collaborazione con lo Studio Gabriele Basilico, e verrà allestita nei suggestivi spazi espositivi della Chiesa di San Lorenzo a San Vito al Tagliamento (Pordenone). L’inaugurazione si terrà il 16 giugno 2017 alle ore 11. Il 15 giugno, ore 18, il Teatro Arrigoni di San Vito al Tagliamento ospiterà l’incontro con Giovanna Calvenzi L’opera di Gabriele Basilico. Seguirà visita guidata alla mostra.
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