Era il 28 giugno del 1914, quando da Carlo Buso e Elisabetta Cruzzolin nasceva Armando, il cui destino era quello di diventare uno dei più grandi artisti del Veneto, lasciando ai posteri una gran quantità di opere da considerarsi degli indimenticabili capolavori.
La guerra costrinse suo padre Carlo Buso insieme alla moglie e all’altro figlio Marino, a fuggire da Rai, dove la loro casa venne rasa al suolo da un ordigno esplosivo. Insieme alla disgrazia di aver perso l’orto e la casa Carlo Buso ebbe una felice novità : la nascita della figlioletta Rina, finalmente la famiglia ora più numerosa aveva trovato un nuovo alloggio nella casetta in via Battisti a Oderzo.
Nel 1924 il piccolo Armando già si dilettava a disegnare, dimostrando la sua devozione e il suo talento geniale per le arti visive, si prodigava alla creazione di un suo piccolo carnet, di cui purtroppo fino a noi è stato tramandato il ricordo e l’ammirazione della famiglia. Fu proprio a Oderzo che iniziò a muoversi la curiosità per il mondo del piccolo Armando che immerso nei suoi piccoli paradisi si divertiva a ritrarre quella realtà così semplice ma per lui affascinante, speciale.
Ben presto però, non potendo solo vivere del suo talento, dovette guadagnarsi da vivere con lavori prevalentemente manuali più pesanti, muovendosi tra Roma e Milano. La sera era per lui il momento per mettersi sui libri cosa che lui faceva già in solitudine, ma che lo portò a iscriversi alle serali dove ebbe modo di sviluppare la sua formazione didattica, senza dimenticarsi della sua passione per l’arte.
Quando non studiava andava nello studio di un affreschista per impadronirsi della tecnica e certo quando il suo maestro scomparve, la sua tristezza fu grande. La fortuna ricominciò a sorridergli quando ad Oderzo conobbe Angelo Parpinelli, notaio all’epoca e collezionista d’opere d’arte, costui quasi lo costrinse a conoscere Umberto Martina, maestro veneziano, che accolse Buso nel suo atelier dove gli impartì delle severe lezioni sul modo di far disegno e di usare i colori e far uso dei chiaroscuri.
Per Buso sottostare a delle lezioni così scolastiche non era facile, il suo carattere era quello di un uomo indipendente, libero, che non accettava facilmente le imposizioni dall’esterno. Dovendo svolgere la carriera militare a Udine, Buso si ribellò più volte agli ordini imposti sia dall’ambiente che dalle cariche del mestiere del soldato, finì in gabbia più di una volta per essersi ribellato, ma quel tempo che trascorreva rinchiuso dietro le sbarre per lui era prezioso, iniziò a dedicarsi alla creazione di superbi soggetti per lo più equini, soggetti di indiscusso clamore artistico.
La natura e la libertà sembravano chiamarlo ogni giorno della sua vita, non mancò di incamminarsi a piedi oltre il nord del trevigiano fino a raggiungere i sentieri impervi del bellunese, ma la sua curiosità lo spinse più di una volta anche oltre il Cadorino e le Dolomiti. Purtroppo nel 1942 due episodi di diversa fortuna colpirono molto il suo animo; la sorella Rina era deceduta, a Venezia, invece, sarebbe riuscito a tenere la sua prima mostra personale ufficiale. Un sogno e un incubo sembravano essersi realizzati quasi in contemporanea nella sua vita. Proprio la sua esposizione nella capitale lagunare dell’arte del tempo gli aveva grandemente giovato, ricevette infatti una commissione dagli Stati Uniti d’America di realizzare un’opera molto impegnativa dedicata al Mezzogiorno e alla sua storia.
Iniziò così per lui un viaggio, che lo portò quasi in tutte le città e le gallerie italiane (Venezia, Viareggio, Padova, Verona, Mestre, Treviso, Udine, Iglesias) e oltre frontiera in Spagna, in Turchia, nei paesi del Mediterraneo, in Austria e in molte altre località dove entrò in contatto a pelle viva con la cultura e le tradizioni di ogni popolazione.
La sua vita che tanto sconforto sembrava segretamente avergli regalato, soprattutto dopo la malattia e la scomparsa della sua amatissima madre (che più volte ritrasse apponendo delle dolcissime dediche sul margine inferiore dei suoi ritratti) si concluse con coraggio e dolore a Vienna nel dicembre del 1975 dove non con dispiacere si preparava all’incontro fatale. Anche se gli amici e il suo stesso diario parlavano di alcune sue premonizioni a riguardo, che quasi la nera signora gli si stava lentamente avvicinando.
La produzione di Armando Buso è quanto meno spettacolare, un grande tesoro per ogni amante dell’arte; ritratti, disegni, paesaggi, ambientazioni fantastiche, surreali (ma non all’eccesso), vita espressa attraverso il disagio e il suo contro, la pace, la tranquillità e la bellezza della natura. Sempre perso a indagare e quasi a condannare il suo segno, così emotivo e sinuoso, solido, interrotto, umano.
I suoi personaggi, alcuni eccentrici, altri illusi dall’esistenza, nel giorno o nella notte della vita, sono donne, stanche, solitarie, colte in un momento di nudità non solo fisica, esteriore, lavoratrici, libere, amiche sulla spiaggia mentre si godono l’estate e il mare. Nostalgici i suoi uomini, intrappolati dal lavoro o dal disagio, dalla povertà o dallo sconcerto. Avvolti da una forma di torpore della noia esistenziale, persi nei loro pensieri, nei loro desideri, stanchi delle fatiche o della miseria mentre cercano di regalarsi un pò di riposo fuori dall’angoscia.
Trapelano le sue emozioni, le sue paure, per gli afflitti nei manicomi, per gli anziani dimenticati, per le vittime umane del male (anche sociale). Non manca però come nella sua vita, la gioia, quella freschezza che come padre e come uomo, lo avvolge alla notizia da parte della moglie Bianca Fregonese, dell’arrivo di un figlio, preso anche dalle preoccupazione delle sostanze per il nascituro, decide di relegarsi nel suo studio e di creare, creare, senza darsi pace.
L’attesa sembra dargli la soddisfazione nel 1963 quando nasce, Giuliana, la sua piccola. Proprio a lei con il suo felice arrivo si accompagnano anche i successi e i riconoscimenti ufficiali: si classifica primo alla Biennale di incisione contemporanea a Venezia. Uno dei tanti traguardi dell’artista, già vincitore nel 1946 del Premio pittorico di Oderzo, a Viareggio del premio Maschere e Carnevale, e a Padova del Concorso Bozzetto per pala d¹altare a Pio X (questi ultimi ricevuti ambedue nel 1957).
Difficile trovare un paese dove non abbia fatto visita e non abbia lasciato qualcosa, diverse le sue note e le composizioni studiate e create con le sue matite, i suoi pennelli, le sue mani, capaci di magie cromatiche. I suoi toni ci permettono di viaggiare dalla Parigi dei secoli XVIII e XIX, ci fanno pensare alla furia creativa e geniale al contempo di Goya, al sole di Van Gogh, il calore delle terre spagnole, Madrid, Barcellona, il caos delle grandi metropoli americane ed europee, alle donne e ai locali sonori del Lautrec, e a quanti più nomi esistano nella storia dell’arte del tempo.
I suoi capolavori sono come le pagine del suo diario personale, emozioni, pensieri, ricordi che lasciano ai posteri il piacere di pensare che sia esistito nella storia dell’arte veneta, un uomo dotato di una sensibilità estrema, e soprattutto di un artista figlio della forza, dell’amore e del coraggio.
Biografia tratta dal sito web: http://www2.regione.veneto.it
mi piacerebbe avere notizie della famiglia Buso visto che mia madre Luciana Buso (ora mancata) è figlia di Carlo Buso.
grazie
Ricordo che mio padre diceva di avere un cugino pittore; ma non saprei cosa pensare. So solo che mio bisnonno di nome Natale abitava a casier tv ed aveva 4 figli e 5 femmine, mio nonno Luigi dei suoi fratelli non vi è nessun Carlo che io sappia. Ho cercato per internet con la speranza di trovare dei discendenti dello stesso ceppo, ma inutilmente fino adesso un gran saluto Wolfango