Il 7 aprile del ’44, le fortezze volanti americane, in soli 7 minuti di azione, rasero al suolo ampia parte di Treviso, provocando circa 1.600 vittime. Ad essere pesantemente colpito fu anche il complesso di Santa Margherita, che dal prossimo 5 dicembre, sarà la nuova sede del Museo Nazionale della Collezione Salce. L’ex chiesa subì danni molto seri ma peggio andò al grande chiostro del monastero. Tre dei sui lati vennero polverizzati, ridotto a macerie il quarto, quello attiguo alla chiesa.
“Quel poco che era rimasto di questo lato del chiostro trecentesco è ora risorto dalle macerie”, annuncia il Direttore del Polo Museale Veneto, dottor Daniele Ferrara. “I lavori finanziati da Mibact e Regione Veneto per la realizzazione del Nuovo Museo Nazionale Collezione Salce hanno consentito anche di recuperare le testimonianze originarie del chiostro e di farlo, almeno in parte, rinascere”.
“Abbiamo individuato e recuperato le poche colonne originali superstiti e i brani architettonici ancora integri o leggibili, racconta Chiara Matteazzi, responsabile dell’intervento per il Nuovo Salce. Di altre colonne non restavano che frammenti marmorei di nessun significato, se non come reliquie dell’evento bellico”.
“Con un paziente lavoro di anastilosi è stato possibile ridare forma all’antico chiostro, recuperando ove possibile, ogni materiale originale e integrando i resti con nuovi manufatti realizzati nelle forme di quelli scomparsi. Naturalmente le nuove colonne, copie di quelle andate perdute, sono state marchiate con la data della realizzazione per distinguerle da quelle originali. Anche per il tetto del chiostro abbiamo recupero le poche tegole superstiti reintegrandole con altre già “vissute” provenienti da vecchi edifici trevigiani. Nel corso dell’intervento sono riemerse anche tracce di affreschi di cui non si aveva memoria e pochi brani dell’intonaco originale. Il tutto è stato consolidato e restaurato. Di particolare interesse, un ampio lacerto di affresco con raffigurati la Madonna in trono con Bambino tra Santa Margherita e Santa Caterina e un Serafino da collocare agli ultimissimi anni del Duecento”.
Degli altri lati del grande chiostro non è rimasta traccia, spazzati via prima dal bombardamento e poi dall’occupazione degli spazi del monastero da parte di altri edifici. E’ rimasto l’ampio sterrato che corrispondeva al giardino che impreziosiva il chiostro in epoca monastica. Per esso si è deciso un recupero a spazio per manifestazioni, creando una pavimentazione in trachite e sassi di fiume.
“Abbiamo voluto creare – evidenzia l’architetto Matteazzi – in questa nuova pavimentazione un “cannocchiale” che oggi conduce sino ad un muro, oltre il quale continua ad esistere un il secondo ampio chiostro dell’antico monastero. Questo secondo chiostro, praticamente integro, è oggi parte dell’Archivio di Stato”.
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