Tutti o almeno la gran parte dei poeti italiani, più o meno grandi, del secolo scorso, si sono sempre occupati della pittura dei loro contemporanei. Nel ‘900, un posto di rilievo spetta a Libero De Libero (1903-1981), il quale, però, aveva qualcosa di più degli altri: spiccate qualità di organizzatore o, come si direbbe oggi, di promotore culturale.
Sotto questo aspetto, De Libero è stato fondatore e l’animatore della galleria “La cometa”, dove sono passati i maggiori artisti di quella ormai perduta e dimenticata stagione e, soprattutto i giovani della Scuola romana. Il poeta obbediva a una regola che rientrava nella visione baudelariana della corrispondenza delle arti. Una regola, fondata sul gusto e sul rigore, che si collegava al suo credo poetico.
Oggi riusciamo a sapere molte altre cose che riguardavano, indirettamente, la società e i costumi del tempo grazie a recenti ricerche anagrafiche ed esposizioni artistiche, costruite quasi tutte intorno alla collezione personale del poeta con opere, che comunque ripropongono le sue scelte come critico. Compaiono, fra gli altri, lavori di de Chirico, Savinio, Severini, degli amati Mafai e Scipione, di Cagli, Caporossi, Afro e Mirko Basaldella, Fazzini, Viveri, Guttuso e Levi.
Suppongo che sia comunque difficile per un osservatore di oggi, soprattutto in rapporto alle nostre abitudini, capire fino in fondo come si vivesse, a quali compromessi si dovesse ricorrere, per riservarsi un piccolo spazio di libertà. Sotto questo profilo, De Libero rispecchiava i modi, le cadenze e le imposizioni di un tempo molto avvilente e triste per la libertà: tempo di dittatura.
Ma c’era una libertà superiore alla quale il poeta s’ispirava ed era appunto l’assoluta e piena libertà dell’arte e della poesia: capitolo sul quale non ha mai ceduto di un passo e tutte le volte, che si presentava l’occasione, non ha mancato di distinguere e di salvaguardare la sua poesia e il lavoro dei suoi amici e degli artisti contemporanei. Quando poi, i tempi si fecero più duri e crudeli, con le leggi razziali, De Libero soffrì assieme a Corrado Cagli, il quale alla fine scelse l’esilio e se andò in America.
De Libero sognava di organizzare mostre sontuose su Picasso e Derain a Roma, ma tutti i progetti, anche a causa di quei tempi così terribili, abortirono e non vennero mai realizzati. Altro punto di riferimento assoluto era il mondo culturale francese, quei poeti e quei romanzieri, che ebbe modo di conoscere personalmente a Roma. C’è in particolare una fotografia che lo ritrae assieme a Fransois Mauriac.
Fotografia commovente, uguale a tante altre che immortalano un gruppo di persone fra cui spicca Moravia e dietro Moravia, Ungaretti e, distaccato ancora De Libero. Ricordi che ci permettono di scoprire anche la sua intimità spirituale più schiva, oltre il volto del severo poeta De Libero, morto nella più desolata tristezza, certo di non avere mai raggiunto appieno i suoi sogni di giovane ciociaro, venuto a Roma con la sola ambizione di vivere, secondo i suoi gusti e secondo la sua morale interiore.
Sempre nell’ambito della poesia della poesia e dell’arte le sue vere preferenze, i suoi amori andavano agl’interpreti del surrealismo, che rappresentava per lui e per l’altro suo amico fraterno, Leonardo Sinisgalli, il modello più alto e cristallino dell’invenzione e del rinnovamento. Poi quando stava per avvicinarsi la burrasca, anche De Libero venne attaccato come simbolo dell’arte ebraica, capitalista e infranciosata. Chi legga oggi quelle pagine di giornale può capire bene ciò che sarebbe successo se avessero vinto fascismo e nazismo.
Allora, senza dubbio Roma e l’Italia erano molto più piccole ma c’era ancora quel senso della famiglia e degli artisti, che oggi è saltato per colpa dell’ingresso del mondo in casa e delle logiche finanziarie che dettano regole nefaste, talora antietiche, in ogni ambito. Vostra Elena P.