Teatro Ferrini. Cercansi le Commedie dell’Arciprete

La mostra “Quando Gigli, Pavarotti e la Callas. I Teatri del Polesine” che, per iniziativa della Fondazione Cariparo aprirà i battenti il 13 marzo a Rovigo in Palazzo Roncale, ha il merito di aver messo in moto ricerche prima mai compiute, facendo emergere storie interessanti e curiose.

Emblematico il caso del Teatro Ferrini di Adria, del quale era perfettamente nota la vicenda dal punto di vista monumentale ma decisamente poco chiara risultava l’attività che in esso si è svolta nel corso del ‘900.
Per la mostra, Luisa Carpenedo è riuscita a colmare le lacune, facendo emergere vicende delle quali poco o nulla di sapeva. E che mettono in luce la figura di un sacerdote scrittore di tragedie e commedie educative. Vale la pena di ripercorrere, sia pure velocemente, l’intera vicenda di questo elegante, piccolo teatro polesano. Che è particolarissima già a partire dalle ragioni del suo nascere.

Bisogna tornare a quel 30 settembre 1909 quando la città di Adria, caso davvero quasi unico nella storia del ‘900, venne raggiunta dall’Interdetto Pontificio, misura estrema, che poteremmo descrivere come una scomunica collettiva. Per effetto di questo provvedimento davvero straordinario, le manifestazioni pubbliche di culto vennero sospese e ritirati i Sacramenti. A decretare una punizione così inusuale fu Papa Pio X, e a motivarla un episodio di cronaca: il Vescovo della Città era stato raggiunto da una sassata.

Dopo questo atto, il Papa scelse un nuovo Presule, monsignor Anselmo Rizzi, un giovane sacerdote che aveva dato ottima prova nella sua Mantova. Come molto efficacemente ricorda Aldo Rondina nel sito del Teatro, Anselmo Rizzi si accorse che “ai giovani adriesi mancava una struttura in grado di catalizzare le loro energie, indirizzandole verso una solida formazione cristiana.”

Proprio per dare un segno concreto della sua attenzione verso i giovani il Vescovo fece abbattere le stalle e le rimesse del palazzo vescovile, affidando all’ing. Giuseppe Fidora l’incarico di realizzare un teatro parrocchiale destinato appunto a luogo di crescita spirituale e di svago.

Si può dire che alla fine del 1914 il Teatro fosse già quasi del tutto terminato. L’edificio, prima di entrare in funzione, venne però requisito dall’Esercito impegnato nella Grande Guerra. Divenne così centro di accoglienza per i profughi provenienti dall’Altopiano di Asiago (e le ricerche ora compiute danno valore di certezza a quella che prima era solo una supposizione), e poi utilizzato dall’Esercito.

Una volta liberato e risistemato, il 6 febbraio del 1921 il Teatro venne inaugurato. Dal 1921 al 1940 l’attività del “Ferrini” risulta strettamente legata all’Arciprete del tempo, Monsignor Filippo Pozzato, sacerdote che guida i giovani dell’Azione Cattolica adriesi in un percorso di divertimento, cultura e spiritualità.

Protagoniste di questo vivace momento di rinascita del teatro furono due filodrammatiche, una maschile ed una femminile, con la messa in scena di un gran numero di spettacoli: commedie e tragedie di cui era autore lo stesso Arciprete Monsignor Pozzato. Si ha memoria di almeno 15 suoi lavori teatrali, ideati rielaborando storie tratte dalla Bibbia o antiche vicende locali. Questa intensa attività culturale e spirituale richiama in città alcune personalità, tra cui nel 1927 il Cardinale La Fontaine, Patriarca di Venezia, ed il Prof. Perali, Direttore dei Musei Vaticani.

Molti cittadini adriesi, tra cui il Maestro Nino Cattozzo, il Senatore Primo Guarnieri ed il Maestro Danilo Venturi, mettono le loro competenze al servizio della formazione giovanile. Il lavoro di indagine di Luisa Carpenedo ha portato a contattare gli ultimi testimoni di quell’epoca. Ragazzi allora e oggi novantenni dalla memoria vivacissima. Testimoni di quel felice periodo, come Nedda Zagato e Brunetta Martinolli, ricordano di aver partecipato alla Filodrammatica Femminile; in particolare, la signora Nedda ricorda di aver recitato nell’“Eroismo d’amore” di Primo Guarnieri.

Delle 15 opere di monsignor Pozzato non si è trovata ancora traccia. “Sarebbe davvero importante riemergessero da qualche casa o istituzione”, auspica la dottoressa Carpenedo. “Sono convinta”, continua la ricercatrice, che non tutti gli interpreti d’un tempo, non tutti coloro che studiarono quei copioni, li abbiano buttati. Chissà!”. Se riemergessero potrebbero dar conto di un momento storico e della figura di un Arciprete-drammaturgo di singolare creatività. E magari ci consentirebbero anche di capire come egli sia riuscito a ideare le storie in modo da avere sul palcoscenico, di volta in volta, solo interpreti maschili o solo femminili. Dato che le Filodrammatiche attive erano due, quella Maschile e quella Femminile. Attentamente distinte e separate.

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