Il tema dei rapporti tra la musica e le arti visive nell’età contemporanea ha conosciuto negli ultimi decenni una rinnovata fortuna critica, ma non è stato oggetto, in Italia, di mostre importanti che fossero in grado di presentare l’argomento in maniera organica.
È giunto perciò il momento di dedicare un’esposizione di vasto respiro alle molteplici relazioni tra le due sfere espressive, dalla stagione simbolista fino agli anni Trenta del Novecento. A colmare questa lacuna è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con una grande mostra affidata alla curatela di Paolo Bolpagni, in programma a Palazzo Roverella da aprile -la data è da definire a causa delle disposizioni in vigore in materia di contenimento del Covid-19-, fino al 4 luglio.
Bolpagni ricorda come, “alla fine del XIX secolo, si assista all’affermarsi in tutta Europa di un filone artistico che si ispira alle opere e alle teorie estetiche di un compositore carismatico e affascinante come Richard Wagner: i miti nibelungici, la leggenda di Tristano e Isotta, l’epopea del Graal, il tutto spesso condito di implicazioni esoteriche. A partire dal primo decennio del Novecento, però, la riscoperta di Johann Sebastian Bach e il fascino esercitato dalla purezza dei suoi contrappunti vengono a sostituirsi al modello wagneriano, non solamente in campo musicale. Infatti, il cammino in direzione dell’astrattismo troverà riscontro nell’aspirazione della pittura a raggiungere l’immaterialità delle fughe di Bach, alluse nelle opere di Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Frantisek Kupka, Félix Del Marle e molti altri”.
Del resto, se è vero che il wagnerismo non esaurisce l’argomento per quanto riguarda l’età simbolista (si pensi alla fortuna iconografica di Beethoven, o all’ascendente del melodramma italiano), così, nel periodo delle avanguardie storiche, esistono diverse modalità secondo le quali la componente musicale fu assunta nelle arti visive o le influenzò.
Nel Cubismo e nel successivo Purismo emerge l’orientamento dei pittori – da Pablo Picasso al giovane Le Corbusier – a prediligere come temi di partenza delle loro opere violini e chitarre, forse perché introducono nel quadro le dimensioni della vibrazione acustica e dello scorrere del tempo.
Nella Vienna d’inizio Novecento Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e Koloman Moser trovano nella musica un riferimento importante. E l’elemento sonoro ha un grande peso nel Futurismo italiano: Luigi Russolo, oltre che artista visivo, fu compositore. Ideò brani suonati da macchine costruite per produrre rombi, ronzii, crepitii, scoppi: gli “intonarumori”. Lo stesso Umberto Boccioni, al termine della propria vita, fu in stretto rapporto con il celebre pianista Ferruccio Busoni.
È con Vasilij Kandinskij e con Paul Klee, però, che la musica diventa davvero centrale, facendosi paradigma di una pittura che vuole liberarsi definitivamente dal concetto di rappresentazione. Negli anni del Bauhaus, peraltro, entrambi, allora colleghi di insegnamento, sperimentarono la traduzione grafica di ritmi e melodie, e Kandinskij lavorò come scenografo per l’allestimento dei “Quadri di un’esposizione” del compositore Modest Musorgskij.
Anche nel linguaggio astrattista del Neoplasticismo olandese di Theo van Doesburg troviamo una presenza importante di rimandi al mondo della musica. Che non mancano neppure nelle esperienze artistiche figurative che si affiancano e oppongono alle avanguardie, specialmente in Italia, dove operano Armando Spadini, Piero Marussig, Felice Casorati, Alberto Savinio e altri.
A emergere con forza, nella mostra “Vedere la musica. L’arte dal Simbolismo alle avanguardie”, è una lunga storia di relazioni, intrecci e corrispondenze. Evidenziando le infinite, originali sfaccettature delle interazioni tra l’elemento musicale e la pittura, la scultura e la grafica. Proponendo esempi emblematici, creando così una mostra-spettacolo di assoluto fascino.
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