Nel 2017 le Madri Orsoline lasciavano Gorizia, dopo avere inciso in modo significativo sulla vita spirituale, culturale e civile del Goriziano per quasi tre secoli e mezzo. Il patrimonio del monastero, però, conservato pressoché intatto malgrado due conflitti mondiali, non ha lasciato la città, grazie al concorso delle principali istituzioni attive sul territorio.
L’archivio storico del monastero è oggi conservato e consultabile all’Archivio storico dell’Arcidiocesi di Gorizia; manoscritti appartenenti alla biblioteca sono stati acquistati dalla Biblioteca Statale Isontina. L’ERPAC FVG – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia ha invece acquistato la quadreria, un importante corpus di incisioni settecentesche, i mobili della sacrestia dell’antico monastero, insieme a un patrimonio tessile decisamente unico. Questo infatti spazia dai paramenti sacri più sontuosi, rutilanti di oro e argento, alle più umili – ma sempre impeccabili – testimonianze dei lavori manuali, quelli che si definivano “lavori donneschi”, che le monache praticavano e insegnavano alle proprie allieve. Sì, perché la cifra distintiva delle Orsoline risiedeva proprio nella vocazione all’insegnamento, attività praticata durante tutto l’arco cronologico della loro lunga, operosa permanenza in città.
Nella sede di Borgo Castello dei Musei Provinciali di Gorizia, un programma di mostre – che si apre il 30 novembre 2021 per proseguire fino alla primavera del 2023 – consentirà di scoprire i settori del patrimonio culturale delle Orsoline acquistato da ERPAC FVG. Fulcro delle manifestazioni sarà il 2022, 350° anniversario dell’arrivo delle prime monache in città.
Tutto ebbe inizio nel 1672
Il 24 marzo 1672 una lettera del Nunzio apostolico a Vienna, monsignor Mario Alberizzi, fonda ufficialmente il monastero di Sant’Orsola di Gorizia quale filiazione di quello delle Orsoline viennesi. L’atto, che ha l’appoggio della corte austriaca, è frutto dell’iniziativa di molti: si attivano i Gesuiti, e così la nobiltà locale; le sorelle goriziane Maria e Anna Bonsi mettono a disposizione la propria casa, nei pressi del convento di Santa Chiara. Lasciata Vienna con il Placet ottenuto da Wilderich von Walderdorff, allora principe vescovo di Vienna, il gruppo delle sei fondatrici, guidato dalla superiora Caterina Lambertina Pauli-Stravius e dalla prefetta Angela Aloisia, entrambe provenienti da Liegi, raggiungono Gorizia l’8 aprile 1672.
Un respiro europeo: case “madri” e “figlie”
La Compagnia di Sant’Orsola era stata fondata a Brescia, nel 1535, da sant’Angela Merici. Distinte dal desiderio di conciliare vita contemplativa e impegno sociale, le Orsoline si dedicano all’educazione delle ragazze. Si diffondono rapidamente in Italia e in Francia, dove dal primo Seicento osservano la clausura, ma possono aprire scuole aperte ad alunne esterne. Dalla Francia si espandono nelle Fiandre e nei paesi di lingua tedesca, attraverso congregazioni di monasteri, autonomi l’uno rispetto all’altro, ma legati dalla comune provenienza. Dal monastero di Bordeaux (1618) deriva quello di Liegi (1622), che genera il monastero di Colonia (1639) e quello di Praga (1655). Orsoline provenienti da Liegi, Colonia e Praga (tra loro Caterina Lambertina Pauli-Stravius, che a Gorizia diverrà superiora) fondano il monastero di Vienna (1660), da cui derivano quelli di Klagenfurt (1670), Gorizia (1672), Bratislava (1676), Linz (1679) e Graz (1686), che Vienna istituisce con l’apporto di Gorizia.
A loro volta Klagenfurt dà vita al monastero di Salisburgo (1695), Bratislava a quello di Varaždin (1703), mentre da Gorizia emanano Lubiana (1702) e Cividale (1843).
Il monastero di Gorizia
La casa in cui le religiose fondatrici sono accolte si rivela da subito insufficiente. La priora s’impegna a ricercare una sede più adatta, che trova ai piedi del colle del Castello. Acquistata la casa Volante, dotata d’orto e cortile interno, la comunità vi si stabilisce già il 9 agosto del 1672. Nel 1675 si acquista la casa contigua e nel 1678 inizia la ristrutturazione degli stabili. I lavori, diretti dai capimastri lombardi Giovanni Battista e Pietro Giani, si protrarranno fino al 1685, interrompendosi nel 1682 a causa dell’epidemia di peste che colpisce la città. La costruzione della chiesa aperta al culto pubblico termina nel 1683, l’anno successivo è ultimato il campanile. L’area occupata dal monastero si amplia progressivamente, fino a occupare la vasta area compresa tra la contrada dei Macelli (oggi via Morelli) e l’odierna via delle Monache, sulla quale s’affaccia la chiesa. Il complesso viene così a raccordare il nucleo antico della città, ai piedi del Castello, con i settori di nuova espansione, al di là del Travnik (l’odierna piazza della Vittoria).
L’ente diviene proprietario di un vasto patrimonio fondiario, nato da donazioni e dalle doti delle religiose, reclutate fino all’Ottocento solo presso famiglie nobili, ampliato e concentrato mediante una serie di acquisti e permute, documentate dalle carte conservate fino a oggi nell’archivio del monastero.
Data al 1904 la definitiva aggregazione del monastero goriziano all’Unione romana che, esito di una riforma dell’organizzazione delle Orsoline avviata negli anni finali dell’Ottocento, riunisce tutti i monasteri sotto un’unica superiora generale, con sede a Roma. Riveste tale carica, dal 1910 al 1926 madre Angela Lorenzutti, già maestra delle novizie a Capriva e dal 1928 alla morte, nel 1933, superiora a Gorizia.
Una vocazione per l’insegnamento
Fin dalla sua istituzione nel XVI secolo, la Compagnia di Sant’Orsola riserva una particolare attenzione alla pratica educativa, non solo quella rivolta al suo interno, ovvero verso le religiose, ma anche e soprattutto verso l’esterno, verso coloro che avrebbero continuato a vivere nel secolo. Un’attività educativa specifica e attiva, destinata in origine alle donne che, per qualche tratto, può essere vista come parallela a quella tutta maschile dei Gesuiti, anche se condotta su livelli diversi.
Le Orsoline, subito dopo la fondazione del proprio monastero a Gorizia nel 1672, attivano qui un “educandato” ovvero un convitto aperto anche ad allieve non destinate alla vita monastica, e una vera e propria scuola rivolta all’esterno. Le due istituzioni sono però ben distinte: le educande infatti devono vivere lontane dal contatto con il mondo e dalle sue corruzioni. Dalle cronache del monastero apprendiamo come l’apertura in particolare della scuola riscontri fin da subito un grandissimo successo: «vi erano circa cento figliuole, e se il sito fosse stato maggiore, ne avrebbero pigliate assai più». La scuola accoglie fanciulle di età e condizione sociale molto diverse; l’educazione impartita comprende pratiche di pietà e catechismo, leggere e scrivere, oltre ai lavori femminili. Le convittrici, col tempo, aiutano le madri nella scuola esterna.
L’attività educativa del monastero attraversa i secoli, adeguandosi all’evoluzione della legislazione asburgica e consolidando la fama della qualità del proprio insegnamento. La riconosciuta utilità sociale del monastero lo preserva dalle soppressioni giuseppine e dalle occupazioni napoleoniche.
La prima guerra mondiale porta delle conseguenze pesanti: l’edificio che per secoli ha ospitato le religiose e la loro scuola deve essere abbandonato, e viene trovata una nuova sistemazione nella Villa Ceconi, cui viene aggiunta una nuova ala. Continua l’azione educativa delle Orsoline che, adeguandosi alle nuove esigenze normative, mantengono sempre viva l’attenzione verso la scuola di base.
Nel secondo dopoguerra l’attenzione delle Madri Orsoline verso l’istruzione scolastica si concretizza a lungo nell’asilo, nella scuola elementare, nella scuola media, e anche nella scuola magistrale parificata, che preparava le maestre d’asilo e che termina la propria attività nel 1990.
Le carte dell’archivio delle Madri Orsoline conservano la memoria di queste molteplici realtà fino al presente, consentendo di ripercorrere la vita di un istituto che ha accompagnato per più di tre secoli la crescita di Gorizia e, in particolare, quella di tante donne goriziane.
L’annuncio, nel 2013, della chiusura della scuola primaria, collegata al trasferimento da Gorizia della comunità delle Orsoline, ha visto la nascita, a opera di alcune insegnanti laiche già in servizio all’istituto, della scuola primaria paritaria “Sant’Angela Merici” che, gestita da Abimis – Società Cooperativa Sociale Onlus, opera a tutt’oggi. Le Orsoline lasceranno la città nel 2017, salutate dalla Chiesa goriziana con un solenne Te Deum di ringraziamento.
Il percorso espositivo
SALA 1 Immaginando un monastero femminile dei secoli passati, si potrebbe essere indotti a pensare a un luogo astratto dal mondo esterno. Non è certo il caso del monastero goriziano di Sant’Orsola, per diversi ordini di considerazioni che in mostra vengono presentati.
La provenienza stessa delle prime Orsoline dal nord Europa e la rete dei monasteri che vengono via via fondati a ritmo serrato testimoniano di un respiro europeo. Centroeuropeo si mantiene il contesto di riferimento per almeno il primo secolo di storia, in cui sono attestate provenienze delle monache dai territori dell’impero asburgico (Vienna, Salisburgo, Linz, Klagenfurt, Lubiana, Graz, Trieste), ma anche dalla vicina Serenissima (Venezia, Vicenza). Nel monastero, a testimonianza del suo prestigio, sono rappresentate alcune tra le famiglie aristocratiche più cospicue: Lantieri, Coronini, Edling, Cobenzl, Delmestri, Attems, Herberstein, Rabatta, Prata…
L’insegnamento è una delle modalità con cui si realizza il contatto tra l’ambiente monastico e l’ambiente circostante: subito dopo la fondazione del proprio monastero a Gorizia nel 1672, le Orsoline attivano qui sia un “educandato”, un convitto aperto anche ad allieve non destinate alla vita monastica, che una vera e propria scuola rivolta all’esterno. La scuola accoglie fanciulle di età e condizione sociale molto diverse; l’educazione impartita comprende pratiche di pietà e catechismo, aritmetica, musica, canto e materie destinate ad affinare le doti necessarie al governo di una casa e alla vita sociale. Si insegnano infine i lavori cosiddetti “donneschi”, che educano alla concentrazione, alla pazienza, alla bellezza e, non da ultimo, alla preghiera. Il cucito, il ricamo e il merletto coroneranno poi la vita delle fanciulle più fortunate come elegante passatempo, ma forniranno a quelle dei ceti più umili capacità professionali estremamente utili per una eventuale autosufficienza nel mondo che le attende, spesso difficile e aspro.
Una serie di immagini provenienti dall’archivio del monastero, ora custodito dall’Archivio storico dell’Arcidiocesi di Gorizia, mostra alcune delle molte classi scolastiche succedutesi nel tempo: spesso le bambine esibiscono i frutti del loro lavoro, come gli imparaticci di ricamo. In centro sala, una sorta di Wunderkammer a forma di croce racchiude campionature delle lavorazioni praticate in monastero, insieme a manuali, attrezzi, filati.
SALA 2 Dal mondo esterno e dall’ambiente di provenienza le monache portano usanze e mode del mondo laico, anche sotto forma di tessuti e abiti in dote. Nei secoli passati i tessuti, di produzione manuale e dotati di pregio intrinseco dato dall’uso di filati preziosi quali seta, oro e argento, conoscevano molte vite. Molto frequente era la trasformazione da abito femminile a parato ecclesiastico, come didatticamente si illustra in mostra. In proposito, la tradizione orale delle monache, messa per iscritto nel “Manoscritto della sacrestana” del 1956, riporta per il parato più spettacolare del monastero, non a caso dedicato a Sant’Orsola, l’illustre provenienza del ricamo da “un manto dell’Imperatrice Maria Teresa donato ad una damigella che venne in convento per farsi religiosa, ma non fece professione perché il Capitolo non l’accettò”. In mostra il parato di Sant’Orsola è accostato a un ritratto di Maria Teresa, opera di Scuola di Martin van Meytens, inserito nella monumentale cornice dorata, con stemma della Contea di Gorizia, del 1749, capolavoro di Antonio Prestinti e Francesco Lampi (NB: cornice e dipinto già appartenevano alle collezioni dei Musei Provinciali di Gorizia).
Nel caso di tessuti di provenienza laica, è sintomatica l’assenza di simbologia religiosa: a questo potevano poi surrogare le monache, eccellenti ricamatrici. Il loro repertorio decorativo veniva in primis dalle Sacre scritture, ma non era certo estraneo alle mode del momento. In ambito vegetale, ad esempio, rosa, giglio e garofano, come anche mela e melagrana, costituivano riferimenti simbolici molto chiari, mentre tulipano e peonia rappresentavano un portato della generale fascinazione delle arti decorative europee tra Sei e Settecento per l’Oriente, sia vicino che lontano.
Deriva da un tessuto francese alla moda del primo quarto del Settecento una splendida pianeta gialla con motivo a pizzo, cui si affianca, per analogia stilistica, lo straordinario “Pizzo Coronini”, proveniente dalla Fondazione Palazzo Coronini Cronberg, unico prestito presente in mostra.
Parlano degli influssi che dall’esterno filtravano in monastero anche i modelli a stampa per ricamo provenienti da Augsburg e cartoni da ricamo e da merletto provenienti da Venezia. A Chioggia e in Carniola si acquistavano poi trine che dovevano fungere da prototipo per il laboratorio monastico, in aggiunta ai merletti fiamminghi a fuselli, la cui lavorazione le Orsoline avevano introdotto in città.
SALA 3 Ma qual era il mondo esterno immaginato dalle monache? È ben esemplificato da una ricca serie di cartoni da ricamo o arazzo settecenteschi realizzati all’interno del monastero con grande fantasia: ai più prevedibili modelli per paramenti sacri o scene tratte dalle Sacre scritture si affiancano soggetti laici con palazzi e giardini recintati, dame, cavalieri, concerti, passeggiate in carrozza, scene di caccia e scenette arcadiche con pastori o giardinieri.
Con il mondo esterno le Orsoline si relazionano anche per il tramite del loro laboratorio, che realizza ricami e merletti non solo per uso interno, ma anche per una committenza esterna, sia ecclesiastica che laica, come documentano i cartoni da ricamo settecenteschi del laboratorio. Un modello per dalmatica porta il riferimento a “2 Pianette delli Padri Carmelitani”, verosimilmente quelli del monastero della Castagnavizza; diversi poi sono i modelli da ricamo per capi laici: non solo quelli a stampa provenienti da Augsburg, ma anche quelli creati in monastero e concernenti sottomarsine maschili, capi femminili come pettorine, bustini, borse, cuffie, fazzoletti oppure elementi d’arredo come schienali e sedute di sedie e divanetti.
SALA 4 Trionfo barocco! Nell’ultima sala del percorso espositivo si concentrano alcuni tra i paramenti sacri più belli usciti dal laboratorio delle Orsoline, allestiti sullo sfondo di gigantografie di dettagli della lavorazione, che ne fanno comprendere l’assoluta perfezione. Paramenti e allestimento mirano a colpire il visitatore con la forza del colore e lo scintillio dell’oro e dell’argento, alludendo all’esperienza – mistica ed estetica – prodotta dalla visita a una chiesa barocca.
Museo della Grande Guerra, della Moda e delle Arti Applicate
Borgo Castello 13 – Gorizia (GO)
Tra la terra e il cielo. I meravigliosi ricami delle Orsoline
1° dicembre 2021 – 30 settembre 2022 da martedì a domenica: 9-19
lunedì: chiuso
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E-mail: musei.erpac@regione.fvg.it
Sito Web: www.musei.regione.fvg.it
Fonte: Villa Manin – Ente Regionale Patrimonio Culturale FVG
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