«Rimanelli è un interstizio necessario nella tessitura della letteratura italiana, e “Tiro al piccione” è una giuntura che si articola in un momento storico delicato: la zona grigia della Repubblica di Salò» (A. M. Milone).
Sono trascorsi più di settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dai terribili giorni della guerra civile che ha insanguinato il nostro Paese. I tempi sono dunque maturi e la distanza storica sufficiente per poter leggere senza preconcetti e prese di posizione alcuni libri che spesso sono finiti ingiustamente nel “contro-canone” della nostra letteratura. È certamente il caso di “Tiro al Piccione”, l’opera più nota dello scrittore Giose Rimanelli, che Rubbettino lancia in libreria il prossimo 24 febbraio annunciando al contempo l’uscita nei prossimi mesi di altre due opere dello stesso scrittore: “Peccato originale” e “Una posizione sociale”.
Questa nuova edizione è arricchita da una prefazione della moglie dell’autore, l’ispanista e italianista americana Sheryl Lynn Postman, e da una postfazione di Anna Maria Milone studiosa dell’opera di Rimanelli.
La storia si svolge nel 1943, Marco Laudato, alter ego dell’autore, abbandona il seminario e torna al paese molisano di origine dove anni di conflitto hanno lasciato solo povertà e un senso di monotona inutilità quotidiana. I camion tedeschi che risalgono la penisola sono l’unica via di fuga verso qualcosa di nuovo, proprio quello che cerca un ragazzo di diciassette anni. Marco, senza avere alcuna coscienza politica, si ritrova in mezzo alla guerra civile che imperversa nell’Italia del Nord. È preso prigioniero prima dai tedeschi e poi dai fascisti, e finisce per arruolarsi nella Rsi per aver salva la vita. La crudeltà e la violenza della trincea, il disprezzo degli uomini, l’insensatezza dei combattimenti, persino l’incontro con il sergente Elia, strenuo sostenitore della difesa della patria, segnano il suo fermo rifiuto della guerra. Fugge quindi da un treno che lo avrebbe portato prigioniero degli americani in Africa. E ritorna al suo paese, ancora una volta. Marco è turbato dalla ferocia che ha vissuto, ma adesso è consapevole che la fedeltà agli ideali di patria e libertà non può coincidere con la brutalità delle armi.
Cesare Pavese che aveva deciso di pubblicare il romanzo presso Einaudi, operazione poi interrotta dalla tragica morte dello scrittore piemontese, definì in questo modo “Tiro al piccione”: «Non è un libro politico non vi esiste il caso del fascista che si disgusta o converte, bensì il giovane traviato, preso nel gorgo del sangue, senza un’idea, che esce per miracolo, e allora comincia ad ascoltare altre voci. È una tesi notevole e tale da interessare tutto il mondo, non solo gli italiani».
Il valore universale del libro di Rimanelli al di là di ogni etichetta politica è ribadito da Sheryl Lynn Postmann nella prefazione: «“Tiro al piccione” è una produzione romanzesca, senza una prospettiva politica e ideologica se non quella di evidenziare gli orrori che pervasero l’intero Paese, a dimostrazione che nessuno, né i bambini, né gli anziani, né le donne, era immune dalle atrocità».
A quanti ribadiscono la fede fascista dell’autore ascrivendolo ai “cuori neri” dell’Italia del dopo 8 settembre, la prof.ssa Postman risponde nella stessa prefazione: «Partecipò alla guerra, non per ragioni politiche, ma per sopravvivere. Una volta nelle mani dei fascisti e dei nazisti, e dopo una notevole quantità di torture, gli offrirono una scelta: combattere o morire. Giose scelse la vita e così diventa un volontario involontario. Non era un vero credente, come alcuni insistono, dell’ideologia repubblichina; era un ragazzo non al corrente della situazione politica nazionale, che ha lottato per salvarsi la vita (…) Si arruolò nella campagna militare, senza alcuna conoscenza politica, e, quando gli fu chiesto se fosse contento di servire il Duce, lui rispose di no. In questo modo innocente, divenne un volontario forzato».
Sheryl Postman è molto critica nei confronti della riduzione cinematografica del romanzo che venne realizzata dal regista Giuliano Montaldo nel 1961 e di recente presentato nella sua versione restaurata al Festival del cinema di Venezia: «se il romanzo non è l’autobiografia di Giose – scrive la professoressa Postman – il film di Giuliano Montaldo lo è ancora meno. È un mezzo attraverso il quale il regista avrebbe voluto indicare la sua particolare adesione politica. Sfortunatamente, molti credono che sia davvero la storia personale di Giose. Queste persone sono sicure che il film sia uguale al romanzo e, anche, alla vita di Rimanelli. Giudicano Giose senza aver mai letto il libro e senza averlo mai conosciuto. Questa critica non conosce Rimanelli attraverso la sua narrativa, ma attraverso l’immagine data da Montaldo. Il film non è fedele né al romanzo né alla vita di Giose».
Forse è questa una delle ragioni per cui la leggenda nera di Rimanelli è rimasta saldamente attaccata allo scrittore molisano e nell’Italia del post Sessantotto gli causò l’emarginazione dal salotto buono della letteratura.
«Fino al 1960 – scrive Anna Maria Milone nella postfazione – il nome di Rimanelli, scrittore, intellettuale e giornalista è gradito e presente sulla scena letteraria italiana. Questa benevolenza non ha avuto la forza di scrostare alcuni giudizi riguardo Tiro al piccione, incisi bisbigliati tra i corridoi delle case editrici, nei salotti romani, e il romanzo è stato troppo a lungo frainteso e tramandato come esempio di letteratura politica, memoria di un repubblichino, voce di un giovane fascista: queste definizioni, prive di fondamento, tradiscono una cattiva lettura dell’opera. Giose Rimanelli, da quella data, che prendiamo come momento dirimente nella sua carriera, è un autore che ha occupato righe sempre più esigue nei manuali di letteratura italiana, fino a scomparire, per essere sempre più presente nella vita letteraria e culturale statunitense». Eppure, osserva sempre la Milone: «Rimanelli è un interstizio necessario nella tessitura della letteratura italiana, e “Tiro al piccione” è una giuntura che si articola in un momento storico delicato: la zona grigia della Repubblica di Salò».
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