Mauro Varotto, curatore della mostra “Giovanni Miani. Il Leone bianco del Nilo” (Rovigo, Palazzo Roncale, dal 12 marzo), ha scelto Natalino Balasso per “raccontare”, a suo modo, la vicenda di Giovanni Miani.
La mostra, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, potrà essere visitata gratuitamente sino al 26 giugno. Balasso, con la regia di Marco Segato, ha registrato una serie di interventi che narrano alcuni momenti ed aspetti della vita dell’esploratore rodigino.
Le riprese sono state effettuate all’interno del Museo di Geografia dell’Università di Padova, accanto a globi terraquei, libri di esploratori e carte geografiche. “Perché – chiarisce il curatore della mostra, delegato della Rettrice per i musei e le collezioni dell’Ateneo patavino – al di là del “colore” del personaggio davvero singolare che fu Mianiil progetto espositivo intende sottolinearne la sua missione di geografo ed esploratore, mettendo in evidenza l’attenzione ed il rispetto con cui Miani indagava i territori che via via andava scoprendo. Terre dove un uomo bianco non era mai stato visto, e il suo comparire diventa causa di curiosità e stupore.”
“Già nella fase preparatoria del progetto su Giovanni Miani – afferma il professor Varotto – ho avvertito fin da subito la necessità di far uscire il suo messaggio da vecchie carte e polverosi diari, di “incarnare” l’umanità e attualità di questo uomo eclettico e stravagante, e trasmettere così al pubblico la forza del suo messaggio che ancora oggi può insegnarci qualcosa. La scelta attoriale è caduta subito su Natalino Balasso, non solo perché originario del Polesine come Miani, o perché anche anagraficamente vicino (classe 1960) e quindi rappresentativo dell’età in cui Miani intraprese i suoi primi viaggi di esplorazione lungo il Nilo, ma soprattutto per il suo profilo di attore e scrittore autodidatta e versatile, capace di conquistare con la simpatia e la leggerezza delle sue interpretazioni, ma anche di suggerire riflessioni profonde, di alternare il registro leggero di una mimica e di un linguaggio dall’accentuata inflessione dialettale (il carattere sgrammaticato della scrittura di Miani) alla vis polemica e all’invettiva senza veli (anche questa cifra ben presente nelle pagine dell’esploratore, dal tono schietto e sincero di chi è fuori dai giochi di potere dell’epoca), come contributo ad una riflessione profonda sul mondo attorno al Nilo di ieri e di oggi”.
“Non conoscevo Miani – confessa l’attore – e fin da subito di lui mi ha colpito il fatto che la sua figura fosse estranea all’aura retorica degli altri esploratori votati alla conquista e al successo. Emerge così il fascino romantico della sua umana fragilità, e la passione e forza morale di rialzarsi dopo ogni fallimento. Miani ci insegna che il fine non sta nella meta, ma nel coraggio di intraprendere sempre nuovamente il nostro viaggio. E se la scoperta delle vere sorgenti non fu esente da una certa dose di brutalità e cinismo, forse sarebbe giusto riconoscere a Miani il ruolo di scopritore morale delle sorgenti del Nilo”.
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