Si rimane sorpresi dal modo in cui le parole sono incastonate, l’una dopo l’altra, nel romanzo L’assedio di Rocco Carbone che Rubbettino propone in libreria: “un cielo basso, ostile, inspiegabilmente giallo”; “un caldo terribile, inquietante, una pioggia di polvere bianca”.
È uno strano fenomeno metereologico quello che coinvolge la città di R. Un giorno come gli altri, Saverio Morabito si sveglia e scopre un cielo diverso. È il primo a capire che niente sarà più come prima; che, come dice lui, “si dovranno tutti preparare ad affrontare una prova”. In breve tempo tutto precipiterà e la città si troverà all’improvviso a dover fare i conti con le criticità cui questa pioggia di cenere porta: mancanza di cibo, di acqua, di elettricità.
Nel giro di poche pagine il lettore si accorge che non è solo il cielo della città di R. a essere giallo, tutto il racconto lo è: giallo e incombente, colmo di un pericolo evidente e inspiegabile, da cui non si può fuggire. Non vengono infatti dati riferimenti geografici, non si sa dove sia la città di R., non si sa se il fenomeno sia esteso anche fuori di essa, e la possibilità di fuga è interdetta. “L’esterno” è solo un indefinito geografico, astratto e irraggiungibile, sicché la sensazione del lettore è quella di una claustrofobia generale: esattamente come i personaggi non può scappare.
Ma privato della possibilità di fuga l’uomo si trova faccia a faccia con la sua natura più animale e ancestrale. “Non sai di cosa sono capaci le persone, quando si tratta di sopravvivere”: sarà il vecchio Abramo ad instillare per primo il dubbio nella comunità, e a far notare che pur di restare vivi si è disposti a tutto, anche a costo di tradire se stessi. Uno scenario dispotico assume allora i caratteri di una scommessa sull’uomo, della lotta primordiale, hobbesiana, tra egoismo e coraggio. La famiglia Morabito si troverà a fare i conti con tutti gli aspetti che questa scommessa implica: non è in gioco solo la vita dell’uomo, ma la sua stessa natura.
L’assedio, questo romanzo del 1998 oggi riscoperto grazie a Rubbettino Editore, è frutto di quel genio instancabile che fu Rocco Carbone, scrittore tra i più grandi del panorama italiano di fine Novecento e che questa iniziativa editoriale di riproposta dell’intera opera omnia si propone riportare alla posizione che merita. Quella di Carbone è poi una di quelle Due vite di cui ci narra Emanuele Trevi nell’omonimo romanzo, vincitore del Premio Strega nel 2021. E sempre Trevi, nella sua prefazione a questo libro, rende in parte giustizia a un autore che non è stato valorizzato come doveva; e parla della sua scrittura come di una “esperienza caparbia e solitaria”. E il lettore ne ha pienamente la prova leggendo questo libro.
Questo racconto sembra aver predetto, venticinque anni fa, quei timori e quelle angosce che avrebbe suscitato tempo dopo la pandemia. Ed è più che mai attuale oggi, in cui la guerra, la crisi climatica e il pericolo nucleare mettono sotto minaccia le nostre vite. Anche per questa sua attualità Carbone è una riscoperta che merita tutte le nostre attenzioni e riflessioni, perché forse oggi più che mai la storia ci mette all’angolo e ci interroga sul posto che occupiamo in quanto umani.
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