C’è una pioggia scrosciante a Sutri e la piazzetta davanti alla Chiesa di San Francesco è scivolosa con i tipici sanpietrini levigati dall’acqua. Dentro, artisti e appassionati di tutte le età seguono il workshop di questo inizio di giugno con il maestro Roberto Ferri che verso le 12, puntuale, si affaccia e apre la porta. S
i è subito al centro della chiesetta che per qualche giorno è diventata laboratorio e bottega d’arte. Pennelli, tele, cavalletti, in un’aria rigida e sepolcrale con una musica mistica di sottofondo, occupano lo spazio sotto l’altare. In un tempo che potrebbe essere anche di secoli fa, il pittore tarantino, da tutti conosciuto come ‘il nuovo Caravaggio’, si racconta. Dal suo primo grande amore, appunto il Caravaggio, alle ombre, al male che attraversa i suoi corpi marmorei e bianchi, su cui si diramano vene e muscoli perfetti che improvvisamente diventano pesci, teste di mostri, tentacoli.
“Come ogni anno la Crazy March organizza un workshop di pittura internazionale e questa volta facciamo una copia del san Giovanni di Caravaggio. Gli allievi vengono da tutto il mondo”, spiega il maestro Ferri intervistato in esclusiva dalla Dire.
Un accostamento, quello con Michelangelo Merisi, che torna sempre nelle sue opere: “E’ stato il mio più grande amore fin da bambino e nel tempo è diventato una responsabilità. E’ evidente l’influenza che ha avuto nei miei quadri, così si è instaurato questo dialogo e da lui sono partito per affrontare poi i grandi maestri e l’accademia dell’Ottocento. Tra i miei punti di riferimento c’è anche Salvador Dalì: la mia ispirazione è stata quella di voler fondere la visione caravaggesca con quella surrealista”. Così la classicità dei corpi si staglia in scenari apocalittici, la luce colpisce, oscura, trasforma arti e volti in creature sospese tra cielo e terra. Un mondo più metafisico che reale, e quasi per questo più vero.
Resta la classicità la cifra della pittura di Ferri: “La contemporaneità” per lui è inserire quei corpi vitruviani in uno sguardo del nostro tempo. Per questo il male è sempre presente, in una visione novecentesca e decadente: “Nascosto nell’ombra- come lo descrive il pittore- proprio come è nella vita di ognuno, nell’inquietudine di ogni giorno, serpeggia. Non c’è mai una visione serena della realtà”.
“Penso che ci sia bisogno di qualcosa di più sentito, ben venga chiunque riesca a trasmettere un modo di sentire profondo”. Le persone trovano sempre quest’armonia del classico nelle sue tele anche quando Ferri forza le categorie della filologia e della storia e fa baciare bocca su bocca il divo Dante e la sua Beatrice, come una moderna fidanzata di oggi. “Ho temuto critiche e per questo ho accettato, sono stato contento di questo progetto, di raccontare qualcosa che mai era accaduto. Ho subito chiamato i modelli, fatto diversi esperimenti… e invece è piaciuto molto, sia alla critica che al pubblico”.
“Per scaramanzia non dico nulla”, ammette Ferri sulle sfide al futuro: “Ci sono bei progetti in ballo, sia in Italia che all’estero, rimaniamo in contatto”, è la promessa. “Ogni quadro è il mio specchio interiore” dice il maestro delle sue opere. Un manifesto ‘poetico’ che a Bologna, nell’ultima mostra, ha visto giovani, famiglie, bambini e non solo esperti ammaliati dalle sue opere. E nell’ultimo giorno tanti hanno colto l’occasione della sua presenza per fare domande, o anche solo condividere emozioni.
Ferri ha scelto di rappresentare tutti e tutti ci specchiamo. E proprio come Caravaggio se ne va per le strade, tra la gente, sulle piazze social, a narrare di quest’umana bellezza colpita, assediata e maledetta che in qualche modo sempre resiste.
fonte «Agenzia DIRE» comunicazione@agenziadire.com