Se le famiglie infelici, come scriveva Tolstoj, lo sono ciascuna a modo suo, quella di cui racconta Giuseppe Aloe nel suo ultimo libro , edito da Rubbettino, «Le cose di prima», lo è davvero in modo speciale. Un’eccezionale infelicità, come quella vissuta da quelle famiglie di cui si legge talvolta sul giornale, che più che nidi d’amore, appaiono trappole velenose capaci di imprigionare e soffocare.
È un racconto sospeso, questo di Aloe. Pare levitare in uno spazio liminale tra il reale e la finzione, tra il sogno e la veglia, caratteristica che tiene il lettore inchiodato alla pagina fino al colpo di scena finale. È un racconto che mette insieme legami amorosi e legami familiari, la passione da una parte e l’affetto dall’altra, l’amore che può trasformarsi in odio, odio feroce. Il tutto letto e interpretato dal punto di vista di un adolescente con la sua irresistibile voglia di superare presto il confine dell’adultità e di sfidare il mondo.
La voce narrante è quella dello stesso ragazzo che ha vissuto le vicende del libro. Ha una voce pacata, a volte malinconica e arrabbiata, e comunque segnata da qualcosa che non riesce a passare. Perché se le cose di prima sono finite, come dice Giovanni nell’Apocalisse, esse continuano a cantilenare nel silenzio della notte, si presentano e scompaiono, parlano, si fanno avanti, e sono spavaldi, i fatti di ieri, spavaldi e portentosi.
A cucire il tutto vi è una scrittura rabdomantica e spietata che cerca di esplorare il tempo enigmatico e inesprimibile della giovinezza. In cui l’esuberanza della vita non è altro che la controfaccia della morte. Ci sono i carnefici e le vittime, i partecipi e gli osservatori. Ci sono balconi, finestre, camere diventate vuote, c’è Janelle la mantide religiosa, la sentinella del buio, e c’è Annette, la donna che forse riuscirà a tirar via quell’uomo dalla sua vertigine. Un libro drammatico, come di solito è l’adolescenza di chiunque, ma anche risolutore. Come qualcuno che arrivando per caso in un luogo riesce a riparare un torto che non lo riguarda, ma che lo opprime ugualmente.
Giuseppe Aloe, scrittore e giornalista, ha pubblicato «Non pensare all’uomo nero… dormi» (2005), «Non è successo niente» (2009), «Lo splendore dei discorsi» (2010), «La logica del desiderio» (2011, finalista al Premio Strega), «Gli anni di nessuno» (2012), «Ieri ha chiamato Claire Moren» (2019) e, con Rubbettino, «Lettere alla moglie di Hagenbach» (2021, Premio Rhegium Julii e Premio Città di Siderno) e «Le cose di prima (2023)».
antonio.cavallaro@rubbettino.it