Il titolo di “Visionario geniale” nell’arte moderna, per eccellenza, spetta a Lui, a Sir William Blake, coscienza mistica di un’Inghilterra che ne ignorò il talento troppo a lungo e, che oggi lo celebra, a ragione, con gli onori di un Re immaginifico. In vita, ghettizzato ed osteggiato, lo consideravano poco più di un tipografo, a tratti folle, per quel suo percepire e captare, con immediatezza, le oscure insidie, nascoste nelle anime altrui. Oggi, gli si rende finalmente giustizia, ritenendolo un eclettico, un profetico innovatore della scena artistica tra Settecento ed Ottocento, tant’è che i suoi pregiati acquerelli vengono accolti nelle gallerie private e pubbliche di maggior richiamo, come la Tate Britain di Londra, che ironicamente sorge su un’area della capitale londinese, la South-West, dove una volta c’era la prigione nella quale l’artista fu brevemente rinchiuso: potenza di un riscatto giunto tardivo, ma pur sempre giunto.
Stravagante, inquieto, bizzarro; poeta precoce a 13 anni con la sua opera “Schizzi poetici”, nata nutrendosi dei versi di Dante, Milton e Shakespeare; pittore sacro e misticheggiante che popolò le proprie opere di angeli e demoni, di figure soavi e di creature bestiali, probabilmente anche un po’ matto, ma, badate bene, non per come intende la neuropsichiatria moderna, bensì nel senso della “pazzia creativa ed istrionica” di Caravaggio, Van Gogh, Gauguin. E’ difficile, anzi assai arduo, dire se William Blake sia stato più grande come poeta o come incisore e pittore: certo i suoi versi sono di una limpidezza lirica unica e, le sue opere pittoriche emanano intensià drammatica, allo stato puro. In una parola, Blake compiva alla perfezione tutto ciò che sceglieva di creare, fossero parole, illustrazioni ed incisioni per i suoi libri, acquerelli, olii, tutto ciò che ne esaltasse l’inesauribile potenza creatrice.
Certo amava stupire, specialmente se stesso ancor prima degli altri: si beava nel guardarsi vivere e, nel sondare nuove realtà. Nel 1823, quattro anni prima di morire, si fece fare una maschera funeraria: privo di qualsiasi timore ultraterreno, voleva vedere che faccia avrebbe avuto al momento del decesso. Ne venne fuori un volto severissimo, anche perchè, nel togliere il calco, gli strapparono una coccia di capelli (come tutti gli artisti, William era dotato di una discreta dose di narcisismo). Ed è da questa maschera funebre che un altro immenso e “terribile” pittore, in questo caso nostro contemporaneo, Francis Bacon trasse ben cinque ritratti, uno dei quali apriva la prima mostra sontuosa, che la Tate Gallery di Londra dedicò al suo celebre figlio, nel 1991.
Dedicatosi giovanissimo alla letteratura e all’arte (era solito comporre poemi leggiadri, mentre vagabondava nelle campagne attorno a Londra), studia attentamente il disegno, dove eccelle e, compie per alcuni anni pratica d’incisione, prima di frequentare la Royal Academy, che abbandona nel 1780 per insofferenza contro i metodi d’insegnamento tradizionali. Arriva ad illustrare, da solo, i propri libri, applicando nuove tecniche dell’incisione e della stampa, che fanno apparire le sue pubblicazioni, simili a dei curatissimi manoscritti medievali miniati. Alcune opere illustrate per intero da Blake appaiono ai nostri occhi, davvero, dotate di un’espressività formidabile, capaci di associare il genio poetico e letterario dell’artista con la sua inventiva raffigurativa. Lavori realizzati con una tecnica da lui “brevettata”, che gli permetteva di stampare in rilievo simultaneamente il testo e le illustrazioni, poi ritoccate ad acquerello.
E’ proprio in questo modo che Blake ha offerto un’interpretazione personalissima, originale e coraggiosa, ai limiti della blasfemia, della “Divina Commedia” di Dante (ben diversa da quella classica e rigorosa di Gustave Dorè), in uno stile che è stato definito “celestialmente satanico”. A parte, ad esempio, la stravaganza di rappresentare Dante e Virgilio come donne, perché ogni maschio, nel mondo di Blake, ha una sua emanazione femminile, l’artista si sovrappone sempre al testo dantesco con singolari ed esaltanti risultati, anche enigmistici. Ciò lo rendeva ostico all’ipocrisia e cecità dei suoi contemporanei settecenteschi, ma intrigante e temerario ai nostri occhi. Va ricordato che per Blake, dall’intelligenza acuta quanto la sua fantasia, tutti avevano torto in materia di religione: il Vecchio Testamento, il Vangelo, i filosofi razionalisti (Bacon, Newton e Locke sono per lui “l’empia triade del materialismo”). Figuriamoci Dante Alighieri, che credeva nel peccato e nella sua punizione all’inferno, mentre per Blake la divinità era solo bontà , perdono e misericordia.
E non era certo sprovveduto e poco colto il nostro William: tuttaltro, le Sacre Scritture non avevano segreti per lui, giacchè oltre a conoscere 5 lingue ( ebraico, latino, greco, italiano, francese), padroneggiava alla perfezione Bibbia, Kabbalah ebraica, John Milton e il suo “Paradise lost”, tragedie e commedie del sublime Shakesperare. Ed amava come figli i suoi libri, quelli realizzati a regola d’arte con particolari ed innovative tecniche grafiche, durante il suo soggiorno nel quartiere londinese di Lambeth, dove si era recato ad abitare: va detto che in quegli anni Blake è fortemente influenzato dalle idee del radicalismo britannico e dalla rivoluzione francese; idee per la quale non batterà ciglio quando si tratterà, per difenderle, di finire in prigione (eccolo, l’estremo idealismo del nostro straordinario Blake, ovvero un Don Chischiotte apocalittico).
Indubbiamente, a molti, la sua arte figurativa potrà sembrare complessa: oserei dire che, si tratta di un modo di rappresentare la realtà e, specialmente ciò che va oltre la realtà , in uno stile complessamente semplice, giacchè nelle sue rappresentazioni confluiscono molte componenti ispirative, ma tutte di una chiarezza e di una nitidezza indiscutibile. Nutrito, ad esempio, di una vastità di letture religiose, mistiche, filosofihe, nel campo delle arti figurative Blake tende a una sorta di gusto neo-gotico, toccando i temi cari all’estetica medievale: lo stato, il sacro, la mitologia nazionale, tutte tematiche culminanti in quel ciclo stupendo di capolavori pittorici, noti come “Jerusalem”, dove la città santa è comparata alla leggenda britannica di Albione. Non bisogna dimenticare, a tal proposito, che le ispirazioni non nascono mai per caso: quand’era apprendista presso l’incisore Basire, William aveva copiato e studiato a lungo i monumenti gotici e le tombe dell’Abbazia di Westminster.
Altri spunti creativi, l’insaziabile e galoppante mente di Blake li trova nell’arte dell’antichità, del Rinascimento e del Manierismo e, soprattutto in Raffaello e in Michelangelo, di cui sente profondamente tutto l’impeto e la “terribilità “, pur non avendo mai visto, dal vivo, un originale. A differenza di Michelangelo, in Blake la tensione visiva delle poderose masse plastiche delle figure viene sostuita dalla torsione e dallo scatto della linea. La linea, seguitela attentamente quando ammirate le sue realizzazioni, è l’elemento portante ed essenziale per il nostro inimitabile “Visionario geniale”: la sua linea, che sa esprimere, nella flessuosità di certe caratteristiche zoomorfe e fitomorfe, tumulto e dolcezza di vivere, nel contempo, anticipando addirittura, un secolo prima, certe tendenze dello stile Liberty e dell’Art nouveau.
Incompreso in vita ed osannato dopo la morte, ora si dipana con maggior precisione, dinnanzi a noi, la personalità effervescente di William Blake, che incantò per la sua unicità personaggi come i pittori Francis Bacon e Graham Sutherland; il poeta italiano Giuseppe Ungaretti (il primo a tradurne fedelmente i versi in lingua italiana); l’Angelo maledetto, alias Jim Morrison, che conosceva a memoria i “Canti dell’Esperienza e dell’Innocenza” composti da Blake; il regista indipendente Jim Jarmush; lo scrittore Thomas Harris che per la prima opera, dal titolo “Red Dragon”, della trilogia dedicata al famosissimo psichiatra cannibale, Hannibal Lecter, trae spunto da un acquerello di una drammaticità e di una bellezza fulminante, chiamato “Il Grande Drago e la donna vestita di sole”, dipinto da Blake tra il 1803 e il 1805, posto come immagine introduttiva al suddetto articolo.
Fu un vero Artista libero, Sir William Blake, libero da tutti i legacci delle convenzioni e dei falsi moralismi, incurante di come andasse il mondo, giacchè il suo carattere solido lo illuminava del sacro fuoco dell’arte ogni giorno. Fu buono, immensamente buono con chi amava (non furono molti, poichè il vero affetto si dispensa con cura, non indiscriminatamente); bardo lirico capace di salutare un girasole, chiamandolo “gemma dorata”; ideologo utopista, pronto ad affiancare ogni ideale che volgesse oltre i limiti del prestabilito; umile, impetuoso, meraviglioso romantico, in grado di coniugare perfettamente il suo sguardo, rivolto verso il cielo e le atmosfere spirituali con le sue carni, dense di smania inestinguibile di vita.
Era nato povero il 28 novembre 1757 nel quartiere londinese di Broad Street, ma non si trattò mai di un impedimento. Snobbato costantemente (per la sua gioia) dai circoli artistici snob, armati d’immensa invidia, anche se aveva frequentato con profitto la Royal Academy ed era stato lodato dal presidente in persona, Joshua Reynolds, che proprio per questo Blake odiò di rimando, giacchè detestava le piaggerie. Passò tutta la vita con estrema dignità , in una serena ed accettata povertà materiale, che in realtà mai intaccò un talento immenso, affiancato da una moglie incantevole e devota, Catherine Boucher, figlia di un ortolano a cui William insegnò a leggere e a scrivere; compagna insostituibile che nessuna privazione distolse dall’amore sconfinato per il marito al quale giurò fedeltà, fino all’ultimo istante. Un uomo tenerissimo ed irrequieto, Blake, che probabilmente “vedeva” e percepiva veramente gli angeli e i demoni, che cantava nelle poesie e disegnava nelle illustrazioni. Che non esitò ad andare in prigione, per manifestare la sua simpatia alla causa della Libertà e agli ideali rivoluzionari di Bonaparte. Verso il quale nutrì poi il più profondo disprezzo quando si proclamò imperatore.
Un uomo, miei assidui lettori che, nonostante le sue mille anime interiori, visse sempre in pace ed in armonia con se stesso. E che, poco prima di morire, il 12 agosto 1827, scrisse questi versi…”Il Bene e il Male più non sono. Le trombe del Sinai cessano di suonare ed io accolgo con gioia la mia fine…Sono stato di me stesso, del mondo e di chi mi ha amato…” A noi la nostra esistenza di oggi piena di false sicurezze materiali, miei più avveduti lettori, a Sir William Blake quella vita ricca di tanto splendore interiore autentico, che lo consegnò alla fine sorridendo…Saremo capaci della stessa saggezza, nel momento fatale? Sir William Blake, di lassù, continua a sorridere. A presto. Vostra Elena P.
Ti vorrei ringraziare immensamente per il tuo saggio: è stato illuminante!! Lo utilizzerà nella mia tesina agli orali. Grazie a te e Sir Blake per le splendide opere che ci ha lasciato.
Fantastico saggio. Mi ha interessata dall’inizio alla fine, incapace di distogliere lo sguardo dalla lettura. Avevo provato a leggere qualche articolo su William Blake, ma, annoiata, cambiavo pressoché subito sito. Meraviglioso modo di presentare.